Un avvocato di lunga esperienza accetta un caso di giustizia penale per difendere un uomo accusato dell’assassinio della moglie. La sua scelta, maturata dopo anni dall’ultima difesa in cui fece assolvere un colpevole, si motiva nella convinzione che l’imputato sia innocente.
L’opera terza da regista del veterano attore francese Daniel Auteuil corrisponde alla sua prima sceneggiatura, scritta insieme a Steven Mitz, ovvero l’adattamento di Au Guet-Apens, chroniques de la justice pénale ordinaire” dell’avvocato Jean-Yves Moyart (sotto lo pseudonimo di «Maître Mô»). Qui è raccontato il caso di Nicolas Milik di cui Moyart s’incaricò di difendere nel triennio fra il 2017 e 2020. Appassionatosi alla vicenda, Auteuil la sposta cinematograficamente dal nord della Francia alla regione meridionale della Camargue, a lui famigliare e per questo assurta a sfondo semantico e suggestivo. Affidando a se stesso il ruolo del protagonista, l’avvocato Jean Monier, Auteuil costruisce un dramma processuale dai codici classici che, benché non raggiunga l’eccellenza di recenti connazionali quali Il processo Goldman (2023) di Cédric Kahn, Saint Omer di Alice Diop (2022) e del pluripremiato Anatomia di una caduta (2023) di Justine Triet, mantiene e contiene una dignità d’esistere nel contesto di un genere egregiamente rappresentato nel cinema francese degli ultimi anni. Più che un testo fra duellanti – l’accusa e la difesa – ad Auteuil interessa raccontare la determinazione di un ormai anziano avvocato convinto dell’innocenza del proprio cliente, padre di cinque figli piccoli, tormentato dalla perdita della moglie alcolizzata. Il rapporto fra i due, più riflettente che oppositivo, mette in scena due forme diverse di fragilità, laddove non esistono eroi o antieroi, ma solo esseri umani che cercano vie di salvezza in una verità soggettiva, al punto da correre sul sottilissimo filo (il titolo originale del film è appunto Le fil) della percezione, non esistendo prove né a carico né a difesa dell’imputato. L’inconscio di entrambi manifesta l’urgenza di guarire da un trauma: Auteuil prova a elaborare visivamente tale concetto associando l’aula del processo allo spazio psichico dei due personaggi, l’uno alle spalle dell’altro, l’uno che vuole salvare chi non vuole (forse) essere salvato. Perché l’inconfessabile è il cuore del trauma, è il toro che come un incubo attacca e contemporaneamente fugge dal torero. Se Auteuil è naturalmente armonico nella perfezione della sua meta-performance, altrettanto ben (da lui) diretti sono i membri del buon cast, a partire da Grégory Gadebois che interpreta Milik come un loser afflitto e penitente. Avvalendosi di interessanti chiaroscuri – visivi e narrativi – a significare l’ambiguità della vicenda, Auteuil riesce complessivamente a imbastire un testo plausibile, mantenendo il controllo di una regia rigorosa ed equilibrata.
La misura del dubbio
regia: Daniel Auteuil
cast: Daniel Auteuil, Grégory Gadebois, Sidse Babett Knudsen, Alice Belaïd
Francia, 2022
durata: 1h45′