Fereshteh studia e lavora in una tipografia a Teheran. Quello che i genitori non sanno è che ha una figlia illegittima (secondo le leggi iraniane) di due mesi. Quando il padre e la madre le annunciano una visita a sorpresa, Fereshteh deve trovare alla bambina un altro posto per la notte. Normalmente non sarebbe un problema ma con il fiato sul collo il piano si rivela difficile. Con l’aiuto dell’amica Atefeh, Fereshteh si lancia in un’odissea per la città.
È indubbio che da almeno quattro decenni quella iraniana sia una delle cinematografie più rilevanti del panorama mondiale, e che l’esempio del suo caposcuola Abbas Kiarostami, che tra la fine degli anni ’80 e il decennio successivo ne ha magnificamente illuminato il percorso, sia stato ben messo a frutto dalle generazioni successive, con alcuni autori (da Mohsen Makhmalbaf a Jafar Panahi, da Asghar Farhadi a Mohammad Rasoulof) giustamente considerati tra i più incisivi del Terzo Millennio. Una cinematografia che da sempre combatte con la rigida e aspra censura imposta nel proprio paese (ne hanno fatto le spese in prima persona Panahi e Rasoulof, solo per citare i nomi più importanti), ma il cui principale merito sta nel fatto di aver trovato i giusti modi per aggirarla, adottando enunciazioni non frontali, mediate, nelle quali spesso il senso del discorso si annida nelle sue latenze, nelle elisioni, nei riflessi formali.
È così anche per La bambina segreta, opera seconda di Ali Asgari, quarantaduenne autore di Teheran che ha studiato in Italia (al DAMS di RomaTre), già noto nel nostro paese per la sua opera terza uscita recentemente in sala (Kafka a Teheran), e tra i nomi più interessanti della nuova generazione dei cineasti iraniani. La bambina segreta è infatti un’opera pregevole, che sembra guardare al passato poiché contiene la lezione dei connazionali che l’hanno preceduta, così come quella del neorealismo italiano (l’estetica del “pedinamento” di matrice zavattiniana) e il pattern di 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni del romeno Cristian Mungiu, ma anche parlarci del presente in una forma dove l’aspetto metaforico elude e contemporaneamente irrobustisce quello narrativo. Lo è innanzitutto per il modo in cui il Tempo e lo Spazio del racconto sono trattati, ma anche per il modo in cui Asgari “usa” doviziosamente il cinema di genere, lo fa dialogare con l’abituale impianto naturalistico dei film iraniani ma piegandone le direttrici al discorso dell’opera.
La vicenda è infatti condensata in poche ore di vita reale (dalla mattina alla sera di una stessa giornata), costruita secondo il modello classico del viaggio a tappe nel quale si riflette l’angosciante dedalo di una Teheran labirintica e respingente, con appunto un impianto realistico (con la mdp sempre a ridosso della protagonista Fereshteh) incorniciato in un thriller esistenziale nel quale il percorso delle due giovani amiche diventa lo strumento nelle mani di Asgari per comporre una radiografia del proprio paese, ambiguamente ritratto nelle sue fobie, nelle sue ossessioni, così come negli abusi e nei ricatti che ne conseguono. Un percorso che all’autore persiano serve soprattutto per restituire il disagio, la difficoltà, l’oscurantismo che avvolge la condizione della donna iraniana contemporanea, ma che ha anche il pregio di mostrare come la lezione neorealistica sia stata digerita e rimodulata attraverso il cinema di genere. Tanto che La bambina segreta — esattamente come succede nel magnifico The seed of sacred fig di Mohammad Rasoulof, nel quale l’impianto realistico è mescolato mirabilmente a quello del western classico — sembra uno degli avamposti della Novelle Vague iraniana. Un film il cui merito più grande sta nell’avvertirci che è sbocciato un autore.
Regia Ali Asgari
Con Sadaf Asgari, Ghazal Shojaei, Babak Karimi
Iran 2022
Durata 86’
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