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LA PETITE (Guillaume Nicloux)
Il tenace attaccamento alla vita

Joseph, sessantenne restauratore di mobili antichi, riceve una telefonata che gli annuncia la morte in un incidente aereo del figlio Emmanuel e del suo compagno Joachim. La coppia aspettava un bambino tramite una madre surrogata che vive in Belgio. Mosso dalla promessa di quella nascita, che, in qualche modo, prolunga idealmente l’esistenza del figlio, Joseph parte alla ricerca della ragazza fiamminga. Dopo vari tentativi, la rintraccia: abita a Gand, si chiama Rita, è la madre risoluta di una bambina di nove anni e non ha un soldo in tasca…

Adattamento cinematografico del romanzo Le berceau (La culla) di Fanny Chesne, La petite mette in relazione una morte improvvisa e una vita inattesa con il desiderio di rinascita individuale e rigenerazione dei legami familiari. Nelle intenzioni dell’ebanista apatico ma istintivo interpretato da Fabrice Luchini, la decisione di non crogiolarsi nel dolore e di non impegnarsi (al contrario dei consuoceri) nella causa legale contro la compagnia aerea accusata della morte dei passeggeri morti in mare, andando invece alla ricerca di Rita, prima che la bimba che la ragazza ha in grembo venga data in adozione, una volta partorita, corrisponde in effetti ad una netta presa di coscienza: l’ammissione della propria incapacità genitoriale, dopo la scomparsa della moglie. Tornare padre, in qualche modo, riparando agli errori di un tempo.

Racconto lineare, educato e delicato, ben lontano dalle contorte serpentine dei lungometraggi precedenti di Nicloux, La petite affronta il tema controverso della “maternità surrogata” evitando però ogni angolazione etico-morale. Un approccio, dunque, non ideologico, che giova al film del regista (e romanziere) transalpino, permettendogli di concentrarsi sugli opposti che regolano luoghi (la Francia e il Belgio, con le loro diverse disposizioni normative sull’”utero in affitto”), caratteri dei personaggi (l’ostinazione di Joseph a tenere la creatura in arrivo e la riluttanza di Rita a tale proposito) e conflitti interiori (il risentimento della figlia di Joseph, Aude, sorella devota ma sempre privata delle attenzioni rivolte dal padre al fratello, anche da morto).

Nonostante la prima e l’ultima parte siano più riuscite di quella centrale, le cui ondulazioni non sempre appaiono ben controllate, La petite rivela un’architettura narrativa solida, in equilibrio tra elaborazione del lutto, slanci vitali e ricomposizioni identitarie. Il merito maggiore, più che nelle scelte di regia, del tutto convenzionali, risiede nelle interpretazioni: Luchini si conferma una volta di più un “orologio di precisione” nell’indicare sul proprio volto e attraverso la propria gestualità contraddizioni spigolose ma amabili, anche se, in alcune sequenze (quelle in cui la sceneggiatura, firmata dallo stesso Nicloux e dall’autrice del romanzo da cui è tratto il film, non intende voler cedere al melodramma), certe punteggiature ironiche vengono sovraccaricate da una eccessiva, appiccicosa leziosità. A tenergli testa, nei panni di Rita, Mara Taquin, la cui performance ruvida ed energica, aspra e decisa, è funzionale all’ancoraggio drammatico del film.

Regia: Guillaume Nicloux

Interpreti: Fabrice Luchini, Mara Taquin, Maud Wyler, Juliette Metten, Veerle Baeten

Nazionalità: Francia, 2023

Durata 93’

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.