Divo hollywoodiano assoluto e con oltre 30 anni di carriera alle spalle, Jay Kelly ha voglia di riacquistare la sua sfera privata, specie l’affetto delle figlie e del padre che da tempo ha trascurato per la sua sete di successo. E proprio inseguendo la figlia minore in un viaggio in Europa si accorge di essere solo e malinconico, accompagnato unicamente dal fedele manager che pure sta trascurando i propri cari per badare ai suoi bisogni. Road movie esistenzial-nostalgico sulle tracce degli errori passati per immaginare un nuovo futuro, l’undicesimo lungometraggio di Noah Baumbach titola come il suo protagonista a significare l’estrema centralità del personaggio rispetto a trama e contesto. Del resto la scelta su una superstar come George Clooney a incarnare Jay Kelly sembra quasi obbligata data la quasi sovrapponibilità meta-attoriale fra i due, ad eccezione del racconto privato. E il grande regista-attore americano in effetti offre il meglio del proprio repertorio di recitazione introspettiva vestendo gli eleganti panni del suo alter-ego, divenendo il punto di forza di un dramedy purtroppo di modeste scrittura e regia, specie nella sua seconda parte. Se infatti la prima ora del film scorre con i dovuti ritmo e leggerezza facendo ben sperare nell’ennesima buona sceneggiatura di Baumbach, è con l’avvio del viaggio in Europa che il tono si affievolisce, i dialoghi perdono sapore, e l’inverosimiglianza ambientale si rafforza specie nelle scene girate in un’Italia kitsch e piena di luoghi comuni fuori tempo massimo. Insieme a Clooney, a salvarsi è anche la solida performance di Adam Sandler, l’affezionato e appesantito agente senza il quale Jay Kelly è letteralmente perduto.