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L’IMPREVEDIBILE VIAGGIO DI HAROLD FRY (Hettie Macdonald)
Il lungo cammino di un uomo qualunque

Harold Fry è un uomo qualunque che ha sempre vissuto senza fare nulla e restando in disparte. Il suo matrimonio con Maureen è ormai così tranquillo da essere caduto nella più totale monotonia. Un giorno, però, scopre che una vecchia amica è molto malata e, mentre sta andando a imbucare una lettera a lei indirizzata, sospinto dalla ragazza che lavora nell’ufficio postale e convinto che il suo gesto terrà in vita l’amica di un tempo, decide di andarla a trovare dove lei è ricoverata, percorrendo a piedi l’Inghilterra, senza alcun mezzo di trasporto, per 800 chilometri. In breve tempo, l’intera nazione si appassiona alla sua impresa…

 

Tratto dal romanzo omonimo di Rachel Joyce, il nuovo lungometraggio di Hettie Macdonald, regista televisiva e teatrale, oltre che cinematografica, offre, alla resa dei conti, meno di quanto promesso in partenza. Se, infatti, nelle rapide sequenze iniziali il ritratto a tinte sbiadite di una coppia di terza età, barricata dietro al silenzio e alle consuetudini, è reso con efficacia, il proseguo del racconto, imperniato su una sola ‘nota’ narrativa (il viaggio a piedi da Kingsbridge a Berwick-upon-Tweed come occasione, per Harold, di riscatto da un colpevole anonimato), si trascina più per inerzia che per effettiva spinta propulsiva: la ‘bolla’ in cui il film, girato in ordine sequenziale ma non sostenuto da una sufficiente articolazione di scrittura (la sceneggiatura è firmata dalla stessa Joyce), ristagna per larghi tratti, e al quale non basta la consueta, convincente prova di Jim Broadbent nei panni del protagonista, depotenzia l’interesse dello spettatore, allontanandolo ulteriormente quando gli evidenti, ripetuti echi di Forrest Gump (e, analogamente, di Una storia vera di David Lynch) spostano il focus delle vicende su un canale di comunicazione già ampiamente ‘metabolizzato’ dalla memoria cinematografica.

I temi incrociati della mancata elaborazione del lutto, dei sensi di colpa soffocati dagli anni, della ricomposizione di un rapporto coniugale dato per disperso, così come l’essersi persuasi che sia possibile, attraverso un atto di fede laica, guarire dai propri invisibili mali, attraversano sia il libro che il film, costituendone una sensibile premessa. Ma la celebrazione della vita che L’imprevedibile viaggio di Harold Fry vorrebbe suscitare, nutrendosi di malinconiche inquietudini e laceranti conflitti interiori, è scandita, sullo schermo, dal ricorso a cliché e monotonie che sciolgono poco a poco il necessario ‘collante emotivo’. Così, la presa di coscienza e il percorso di autoconoscenza, da parte di Harold, che passano dall’incontro con gli altri (una dottoressa che cura le sue ferite ai piedi, un ragazzo che lo segue nel suo cammino in solitaria e, prima ancora, la ragazza dai capelli blu che lavora nell’ufficio postale), si adagiano in una sterile quiete narrativa. Quegli incontri, quasi stazioni di una ‘via crucis’ autoimposta, non generano in realtà alcuna, fervida dimensione osmotica, sono semplici accostamenti di figurine, educate e perbene, relegate sullo sfondo. Né, allo stesso modo, il nomadismo a cui si abbandona Harold, nella suggestiva campagna inglese, riesce a materializzare, nella carne più che nella mente, il suo coraggioso salto nel buio.

Regia: Hettie Macdonald

Interpreti: Jim Broadbent, Penelope Wilton, Earl Cave, Linda Bassett, Daniel Frogson

Nazionalità: GB, 2022

Durata: 108’

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.