Dietro l’apparenza di una vita perfetta, Julia, che lavora in una società di comunicazione, e Tobias, editor di una casa editrice, nascondono tensioni e segreti che la loro figlia dodicenne, Marielle, arriva improvvisamente a scoprire dopo uno schiaffo subìto da una compagna di classe. Dopo quel sonoro ceffone, infatti, la ragazzina acquisisce misteriosi poteri telepatici, riuscendo ad ascoltare ogni discorso dei propri genitori, ovunque essi si trovino, e a vedere ogni loro gesto o azione. Nessuna menzogna adulta, a quel punto, può più essere taciuta: Marielle scopre l’attrazione di sua madre per un collega d’ufficio e l’insicurezza professionale di suo padre, tutt’altro che la persona forte quale egli cerca di apparire in famiglia…
Cosa succederebbe se si invertissero le consuete dinamiche familiari tra ‘grandi’ e ‘piccini’? Cosa farebbero, cioè, due genitori se fossero costantemente monitorati e spiati dalla propria figlia? Quali ripercussioni si produrrebbero nella quotidianità adulta, sia lavorativa che domestica, sia affettiva che interpersonale, se ogni frase, intenzione o manifestazione di sé si trasformassero in prove schiaccianti di sincerità o slealtà? Le premesse del secondo lungometraggio di Frédéric Hambalek, dopo l’esordio con Model Olimpia (2020), sono tutte contenute in queste domande, espresse nelle modalità, del tutto inspiegabili, con cui la piccola Marielle, attraverso una paralizzante osservazione ‘a distanza’, mette sotto la lente d’ingrandimento il rapporto tra papà e mamma, condizionandoli nella loro sfera privata e professionale, ma, soprattutto, le relazioni tra loro e lei, sia singolarmente che come coppia.
La dilatazione e la distorsione delle rassicuranti coordinate della buona borghesia (tedesca, in questo caso, ma, più in generale, occidentale) sono dunque la miccia che accende Lo schiaffo, liberando impulsi repressi e incrinando il delicato sistema di equilibri instaurati tra padre, madre e figlia. Un processo di ribaltamento di pesi e contrappesi certo non nuovo nel panorama cinematografico contemporaneo, ma in grado, per la sua spiazzante dimensione magnetica, di attirare lo spettatore in un iniziale, disturbante spaesamento. Hambalek, però, non è Lanthimos, nemmeno Haneke o Seidl: se l’incipit del film, verbalmente esplicito nell’immaginazione di spericolate fantasie sessuali, lasciava presagire un’esplorazione incendiaria delle dinamiche relazionali ed esistenziali, il proseguo delle vicende non trova invece corrispondenze altrettanto marcate, traghettando il film su sponde assai meno brucianti: l’incerto, precario barcollare su cui poggia inizialmente l’opera si distende, via via, in una camminata più convenzionale e ‘anestetizzata’, le misteriose implausibilità che la tengono a galla nella prima parte sfociano, talvolta, in un’ironia goffa e tardiva. Il ‘bisogno’ di raccontare arriva a prevaricare sull’introspezione e lo scandaglio. Conseguentemente, la rimessa a fuoco della propria privacy arriva a placare le fiamme di un microcosmo umano pericolosamente autoriferito. In questo senso, Lo schiaffo, alla resa dei conti, appare più un’occasione mancata che un lungometraggio riuscito. Anche se l’ultima sequenza, prima dei titoli di coda, riaccende la scintilla di una stuzzicante ambiguità interpretativa.
Regia: Frédéric Hambalek
Interpreti: Julia Jentsch, Felix Kramer, Laeni Geiseler, Mehmet Ateşçi
Nazionalità: Germania, 2025
Durata: 87’
