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MARIA, la recensione da Venezia 81
Callas, che visse d’arte e d’amore

Maria film recensione

La recensione di Maria il film di Pablo Larraín a cura di Anna Maria Pasetti. 

Poche sono le artiste del ‘900 che hanno incarnato e sublimato il senso della tragedia meglio di Maria Callas. Scelta da Pablo Larrain quale protagonista del suo 11mo lungometraggio nonché capitolo conclusivo della trilogia sulle icone femminili dopo Jackie e Spencer, l’indimenticabile soprano greca viene inquadrata dal cineasta cileno nell’ultima settimana della sua vita, autoisolatasi nella sua dimora parigina insieme al maggiordomo Ferruccio e alla governante Bruna. Qui, corpo fragile e ormai deprivato della inimitabile voce, è semplicemente Maria eponimo al titolo del film, delegando ai ricordi della straordinaria carriera il modo in cui il mondo la riferiva, ovvero “la Callas”.

Rispetto alla diva indiscussa della lirica ma anche dello star system del suo tempo viene dunque condotta una scissione: da una parte il presente di Maria, creatura morente che sopravvive tra visioni e fantasmi, dall’altra il passato della Callas, evocata quale divinità nata per essere venerata e celebrata per l’eternità. Del resto, come la sua ineguagliabile Tosca, Callas visse “d’arte e d’amore”, tra gli allori pubblici e i tormenti privati per Onassis, e Larrain la dirige sull’ottima sceneggiatura di Stephen Knight appoggiandosi alla straordinaria performance di Angelina Jolie, capace di portare sul proprio corpo ogni ferita dell’esistere di Maria.

Personaggio che diventa melodramma così come melodramma che si fa personaggio, il connubio tra vita e arte è esemplificato da una scenografia dove tutto è esibizione, è palcoscenico, a partire dalla prima inquadratura ove la morte della protagonista coincide con la chiusa di quasi ogni opera da lei interpretata. Di cifra profondamente larrainiana in cui la forma prevale sul contenuto, Maria è una riflessione visionaria sulla verità insita nella finzione – anzi in questo caso proprio nella sua “messa in scena” – e naturalmente è un dramma abitato dai fantasmi, ma è anche uno struggente requiem in musica, un sensibile omaggio alla lirica così come a una diva divenuta casta ma rimasta bigger than life.

 

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Sull'autore

Anna Maria Pasetti

Anna Maria Pasetti Milanese, saggista, film programmer e critica cinematografica, collabora con Il Fatto Quotidiano e altre testate. Laureata in lingue con tesi in Semiotica del cinema all’Università Cattolica ha conseguito un MA in Film Studies al Birkbeck College (University of London). Dal 2013 al 2015 ha selezionato per la Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Si occupa in particolare di “sguardi al femminile” e di cinema & cultura britannici per cui ha fondato l'associazione culturale Red Shoes. . Ha vinto il Premio Claudio G. Fava come Miglior Critico Cinematografico su quotidiani del 2020 nell’ambito del Festival Adelio Ferrero Cinema e Critica di Alessandria.