GUARDA LA VIDEORECENSIONE
LEGGI LA RECENSIONE:
È un delizioso omaggio a uno dei film più importanti mai realizzati il ventiquattresimo lungometraggio di Richard Linklater, che a Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard e a tutto ciò che esso ha rappresentato e ancora rappresenta deve non solo la scelta di esser divenuto regista, ma anche la spinta decisiva verso la produzione indie che ne caratterizza la filmografia fin dalle origini, ovvero a incarnare la figura dell’autore alternativo allo sclerotizzato Studio System hollywoodiano. Novelle vague è dunque innanzitutto un atto di amore – proprio come sarebbe dovuto essere il film del futuro secondo Truffaut -, un’opera nella quale il making of di un film non è semplicemente il focus del discorso, ma l’occasione per immergersi in un’epoca, per coglierne l’esprit, per ricreare la medesima atmosfera, densa di sigarette e Pernod, nella quale avere un’idea sul Cinema significava avere un’idea sul mondo. Per respirare – proprio fino all’ultimo – la stessa aria di coloro che si stavano accingendo a cambiarli.
Un film dunque sulla lavorazione di un film che tuttavia non ambisce a quell’autoriflessività che è la stimmate della modernità – come è 8 e 1/2 di Fellini o Effetto notte di Truffaut -, ma semplicemente a incarnarsi, con sagacia, ironia, devozione. Una vera e propria incarnazione che Linklater realizza attraverso i gesti, le incerte reazioni, ma soprattutto la fisogniomica dei protagonisti, che l’ammirevole composizione del cast ben restituisce. Così da togliere A bout de souffle da quella dimensione auratica che il tempo gli ha costruito attorno, da spingerlo oltre il perimetro della leggenda che l’appropriazione accademica gli edificato come una fortezza, e riconsegnarlo alla leggerezza che ne accompagnò la realizzazione.
LEGGI ANCHE: