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Il Teatro, il Cinema, la Vita è intorno a questa triangolazione che si sviluppa il sesto lungometraggio di Joachim Trier, che in Sentimental Value mette in scena una vicenda familiare di cui sono protagonisti un padre, regista cinematografico alle prese con la realizzazione del suo ultimo film, e le due figlie, un’attrice teatrale e una ricercatrice storica, che si riavvicinano dopo anni di incomprensioni e traumi irrisolti. Un conflitto intergenerazionale che si identifica perfettamente nella crepa sul muro della grande casa di proprietà della famiglia, e che il regista norvegese utilizza come espediente per articolare ancora una volta un discorso sull’identità, tema centrale della sua filmografia, rifacendosi esplicitamente a Persona, il capolavoro di Ingmar Bergman che Trier da sempre considera come uno dei propri film di formazione. D’altronde in Sentimental Value i modelli di riferimento sono facilmente intellegibili, addirittura fin dalla scelta dei nomi dei protagonisti – una delle due sorelle si chiama Nora come la protagonista di Casa di Bambola di Ibsen, mentre il cognome di famiglia è Borg, proprio come quello de il protagonista de Il posto delle fragole di Bergman. Seppur dichiarata, tale filiazione non appare mai derivativa però, perché Trier sottopone la vicenda a una formalizzazione personale che investe le macrocategorie della narrazione, ovvero il tempo e lo spazio del racconto. Se infatti il primo ha un arco molto ampio, che investe più generazioni, e una scansione in capitoli (esattamente come il precedente La persona peggiore del mondo) che ne modella il ritmo sincopato, il secondo viene sottoposto a riconfigurazione continua, originale quanto seducente, nella quale lo spazio della casa slitta e si rispecchia continuamente in quello del palcoscenico e poi in quello del set cinematografico, costruendo così uno spazio intrecciato, sovrarappresentativo, che diviene spazio mentale. Uno spazio capace di restituire in chiave espressiva la sovrapposizione identitaria dei tre protagonisti e dell’indissolubile legame tra l’Arte e la Vita. Per ricordarci come la prima sia il più potente strumento di cura delle ferite delle nostre esistenze.
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