Lo sguardo interpellato
Il film ci chiede: in un mondo devastato da incertezze, sfiducia, sconforto, dove la verità è sempre più messa in discussione, in cui corruzione e rassegnazione sembrano averla vinta, come fare a convivere con i propri principi? È ancora possibile affidarsi alla narrazione dei fatti per mano dei professionisti del settore? L’uomo di oggi può ancora credere di vivere un’esistenza autentica e piena, capace di scoprire che essa non ha in sé il proprio centro e punto di equilibrio ma l’ha fuori di sé, in qualcosa o qualcuno di Altro? Cosa può salvarci dalle sabbie mobili dell’ingiustizia, voragine infernale che ci risucchia inesorabilmente?

Il paesaggio dell’anima di Sotto il cielo grigio
Il dramma messo in scena da Mara Tamkovich, coraggiosa regista dallo sguardo fine, sembra costruito intorno a un nucleo narrativo che idealmente potrebbe essere espresso con queste parole del profeta Geremia: «Tendono la loro lingua come il loro arco; non la verità ma la menzogna domina nella terra… Ognuno si guardi dal suo prossimo, non fidatevi neppure del fratello, poiché ogni fratello inganna come Giacobbe e ogni amico va spargendo calunnie. Ognuno si beffa del suo prossimo, nessuno dice la verità. Hanno addestrato la lingua a dire menzogne, operano l’iniquità, incapaci di convertirsi. Angheria su angheria, inganno su inganno. Saetta micidiale è la loro lingua, inganno le parole della loro bocca. Ognuno parla di pace con il prossimo, ma nell’intimo gli ordisce un tranello» (Ger 9, 2-4.7).
Il tema affrontato dal profeta è speculare a ciò di cui si nutre il film di Mara Tamkovich, le relazioni sociali in cui l’uomo è immerso e per questo varrebbe la pena recuperare la lezione del salmista quando nel Salmo 12 condannava prima della menzogna una struttura sociale viziata e ingiusta. Perché in questo film, nonostante il cielo grigio, lo sguardo dell’uomo è sempre rivolto ad un appello a scegliere la vita e la via della giustizia, sprofondato in una domanda esistenziale e alla ricerca di qualcosa di stabile per dare senso alla sghemba, aggrovigliata e scandalosa vicenda umana.
«Per il violentamento degli oppressi, per il gemito dei bisognosi ora io sorgo» recitava il salmista, convinto che la menzogna sia il male peculiare che l’uomo ha introdotto in natura. E così, nel film di Tamkovich, la vicenda di Lena e Ilya (siamo nel 2020 e il tentativo della giornalista è di raccontare la rivolta di piazza contro il regime di Lukaschenko mentre il marito, direttore della testata per cui lavora, assisterà inerme alla sua odissea), praticamente tutta costruita in interni soffocanti e stringenti, con rarissimi movimenti della macchina da presa, dove le assenze risultano più espressive delle presenze mentre dialogano con un architettura dell’umano tutta da risolvere, si trasforma da particolare in universale perché capace di raccontare un desiderio profondo che confida in una liberazione e in una salvezza.
I legami di Sotto il cielo grigio
Il film dialoga con lo sguardo di chi confida ancora in un cinema di impegno civile, capace di graffiare e suggerire più che esplicitare, che non sceglie di non tacere di fronte all’ingiustizia, ancora assetato di verità.
Evidentemente non si può tralasciare la sconvolgente visione di Green border della regista Agnieszka Holland per riallacciare una riflessione sul senso della libertà al giorno d’oggi: le due caratteristiche fondamentali su cui si poggia la vita comunitaria degli esseri umani – buone intenzioni e affidabilità – non esistono più come si intendevano un tempo, sono scomparse al punto che la vita comunitaria è privata di fondamento. Ma la verità umana esige un di più, e questo è ciò che il film consegna ai suoi spettatori perché capace di catturare l’istante della visione nel segreto del cuore di marito e moglie.
Una temerarietà inaudita, sconcertante ma dolcissima perché, se la verità è soltanto di Dio, c’è una verità umana che consiste in questo: nell’essere fedeli alla verità.
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