Illuminati dalla stella polare della gentilezza e della giusta scaltrezza, due recenti film d’animazione indicano la direzione da seguire, la misura del mondo, l’ingrediente per vivere pienamente ciascuna relazione. In un certo senso, si tratta di due film capaci di immaginare un luogo da abitare in armonia con gli altri e l’Altro, due film in grado di vedere il Paradiso e di farlo vedere ai più piccoli e a chi li accompagna al cinema. Stiamo parlando di Il gatto con gli stivali 2: l’ultimo desiderio e di Ernest e Celestine e l’avventura delle 7 note a loro modo, con tutta la propria specificità, due film capaci di sovvertire l’ordine delle cose, nel cinema e nella vita. Due film coraggiosi perché interessati a portare in scena l’indicibile e l’incredibile. E in tempi non sospetti come questi, ciò che queste bestie ci ricordano, suona come un auspicio di cui non possiamo privarci.

Un film è immerso in un miscuglio di generi che vede attorcigliarsi il cappa e spada al western, l’horror al fantastico, l’altro segue il canovaccio di un classico road movie; uno s’ispira ad una nota fiaba che ha visto la luce con Giovanni Straparola nella raccolta Le piacevoli notti ma nel tempo ha incontrato le rivisitazioni anche di Basile, Perrault e fratelli Grimm, l’altro è la traduzione cinematografica dell’opera di Gabrielle Vincent (nome d’arte di Monique Martin, Bruxelles 1928-2000), considerata una delle più grandi illustratrici del XX secolo; il primo proviene dall’universo Dreamworks Animation (quello di Shrek, Kung Fu Panda e Dragon Trainer per intenderci), rispetta i codici rappresentativi di una grande casa di produzione ma si apre a novità estetiche e narrative di inaudita potenza con colori sgargianti e regia audace, il secondo è prodotto dalla piccola Folivari di Damien e Didier Brunner e si definisce grazie alla morbidezza del tratto, alla tenue intensità dell’acquerello, alla semplicità dell’intrattenimento.

Così, se da una parte sorprende il contrasto tra la leggerezza dello show e la franchezza con cui il gatto affronta il problema del morire (l’indicibile), emozione ben restituita attraverso la figura di un terribile lupo cattivo, dall’altra è ammirevole l’impegno poetico, ma anche politico, volto ad accordare una sinfonia che avvolge il tutto in un’atmosfera sospesa, incantata e un po’ nostalgica che invoca l’attualità attraverso il rispetto delle diverse vocazioni (l’incredibile), come ricorda l’esperienza maturata dall’orso Ernest, esiliato che insegue il desiderio di diventare musicista di strada rifiutandosi di diventare giudice come il padre.

Punto di convergenza di queste due proposte animate non è soltanto il sorriso generato dalle gag irresistibili ma l’idea di fondo che l’esistenza di ciascuno sia un continuo fare i conti con la coscienza del morire intesa tanto come senso devastante di finitudine quanto come forma di superamento, mito di sopravvivenza, di rinascita, di nuova vita.

Se è vero infatti che entrambi i film rielaborano uno spazio di libertà in cui definirsi (il gatto deve liberarsi dalla propria percezione, l’orso andrà incontro alla sua vera strada), è pur vero che entrambi difendono a tutti i costi, con unghie e artigli, un tempo prezioso di pace e creatività di cui tutti abbiamo sempre bisogno.

Come ricorda la saggezza biblica “Una risposta gentile calma la collera, una parola pungente eccita l’ira” e, pensando al mantra di Ernest e Celestine e l’avventura delle 7 note, «così è e sempre sarà».

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Sull'autore

Matteo Mazza