Moonee ha sei anni e vive insieme alla propria madre Halley nel “Magic Castle Hotel”, una struttura alberghiera di Orlando gestita dal manager Bobby che era una destinazione esclusiva per i turisti del “Walt Disney World” e che ora è abitata da molte famiglie ridotte alla soglia di povertà dalla crisi economica. Mentre Halley cerca di sopravvivere muovendosi sul confine tra legalità e crimine, Moonee e il coetaneo Scooty scorrazzano tra le varie strutture adiacenti del parco inventandosi ogni giorno un nuovo gioco per rendere avventurosa la propria vita.
Prendendo a modello il Truffaut de Les 400 coups e L’argent de poche e The Little Rascals di Hal Roach, il quinto lungometraggio Sean Baker è un tipico prodotto indie nel quale le scelte di messinscena assumono una valenza determinante sull’esile aspetto narrativo. A cominciare proprio dal punto di vista adottato che, identificandosi pienamente con quello dei giovanissimi protagonisti, restituisce l’intera vicenda dall’“altezza bambino”. In secondo luogo perché sceglie d’immettere diversi elementi presi dalla Realtà in una struttura finzionale, per poi privilegiare l’enunciazione del rapporto tra i personaggi/persone e l’ambiente in cui agiscono e da cui sono agiti.
Fin dalla sua emblematica sequenza d’apertura infatti, per il filmmaker newyorchese The Florida project è l’occasione non solo di perlustrare il sottile confine tra Realtà e Finzione, ma anche d’immergere liberamente il proprio sguardo nelle zone d’ombra dell’American Dream. Ovvero cercare di raccontarne l’altra faccia, il riflesso meno appariscente proprio attraverso i corpi e i luoghi che ne sono rimasti ai margini. Ne è significativa testimonianza l’assoluto disinteresse verso il parco Disney, simbolica e incombente presenza che tuttavia appare solo per qualche secondo alla fine del film, ma il cui aspetto favolistico e avventuroso è completamente assorbito nei comportamenti dei giovanissimi protagonisti. Un lavoro che rappresenta un’affascinante idea di cinema e in cui non mancano aspetti pregevoli – a partire dalla notevole performance attoriale della giovanissima Brooklyn K. Prince e proseguendo con l’ottima interpretazione di Willem Dafoe -, ma nel quale il peso teorico talvolta sembra incidere sulla fluidità del racconto.
UN SOGNO CHIAMATO FLORIDA
Regia Sean Baker
Con Brooklyn Kimberly Prince (Moonee), Willem Dafoe (Bobby), Bria Vinaite (Halley)
USA 2017
Durata 111’