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VOLVERÉIS (Jonás Trueba)
Un evanescente gioco di specchi

Ale è una regista, Alex un attore: stanno insieme da quattordici anni e stanno lavorando entrambi allo stesso film, diretto da lei e interpretato da lui. Fin dalla sequenza iniziale, Volveréis rende partecipe lo spettatore del desiderio della coppia di separarsi, di comune accordo ma senza un’apparente ragione, organizzando una festa per la conclusione della loro storia d’amore a cui invitare parenti e amici. Il nuovo lungometraggio dello spagnolo Jonás Trueba ruota attorno a questa idea di “matrimonio al contrario”, una miccia narrativa che però, nella sua continua reiterazione, elevata a modello di racconto, sembra spegnersi rapidamente, nonostante gli accenti romantici, le istanze filosofico-letterarie e la cornice metacinematografica. Mescolando infatti il pensiero di Kierkegaard con i postulati della commedia sofisticata americana, il citazionismo filmico con una certa svagatezza di toni e atmosfere, Volveréis si muove con estrema nonchalance tra realtà e finzione, intersecando i piani su cui agiscono i due protagonisti, mostrati anche all’interno del film nel film, quello che Ale sta finendo di montare, interpretato da Alex. Un gioco di specchi che solo a sprazzi si fa intrigante, rifugiandosi invece spesso in una sterile autoreferenzialità: i tarocchi di Bergman, con le carte ispirate ad alcuni suoi capolavori, la ricerca, al cimitero di Montmartre, della tomba di Truffaut, la visita sul vero set di Dieci capodanni, la serie di Rodrigo Sorogoyen, la presenza stessa di Fernando Trueba, autore di Belle Époque, premiato con l’Oscar nel 1994, padre di Jonàs e qui attore nel ruolo del papà di Ale, sono tutti artifici stucchevoli, espressione di un immaginario tanto imponente quanto insufficiente a produrre un decisivo salto in avanti nell’interesse per le vicende. Il limite di Volverèis è proprio la sua dimensione ombelicale, insistita ed esibita: come affermano con disarmante franchezza e voluta autoironia amici e colleghi di Ale al termine della proiezione privata del suo film, “molto lungo”, “ripetitivo”, “privo di una progressione lineare” e “senza un arco di trasformazione dei personaggi”.

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.

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