Una riflessione, dura ma profonda, sul peso delle scelte individuali e sul libero arbitrio. Un’indagine, intima e rigorosa, sui legami che non si possono sciogliere, sul destino ‘obbligato’ che sembra accomunare genitori e figli. Seconda ricognizione sulle zone d’ombra famigliari e sulle violenze domestiche, sette anni dopo il pregevole esordio con L’affido, il nuovo lungometraggio di Xavier Legrand (ispirato al romanzo L’Ascendant di Alexandre Poste) è un tuffo senza paracadute nella coscienza di un trentenne, acclamato stilista francese, ma canadese d’origine, che nel momento di maggior successo della sua carriera è costretto a tornare in Québeq per i funerali del padre, morto d’infarto, con cui non aveva più rapporti da tempo. Sulla scia della tragedia classica e del fatalismo che ne scandisce azioni e ripercussioni, L’erede si allontana fin da subito dalla dimensione razionale, esplorando invece i meandri nebulosi dell’inconscio, dove le pulsioni offuscano la mente. Introdotto, non a caso, da un simbolismo inquietante, un serpente a spirale formato dalla disposizione del pubblico che assiste a un defilé di moda, il film di Legrand, qui anche sceneggiatore, si insinua con progressione dirompente nel distacco famigliare, interrogando lo spettatore sulla trasmissibilità del male. Un male che, nel caso del giovane creativo della prestigiosa maison parigina, parte da inconsueti dolori al petto, dai dubbi su una predisposizione alle malattie cardiache ereditata forse dal padre, ma che si allarga, poi, ad un lascito ben più sconvolgente, quando Ellias (che ha rinunciato persino al suo vero nome, Sebastien, per cancellare la propria infanzia) si ritrova, nella casa del defunto, di fronte ad un segreto sconvolgente. Lavorando sul non detto, sulla sospensione, sui vuoti emotivi, non mettendo in rigida connessione cause ed effetti, L’erede pulsa del fascino ‘nero’ del thriller esistenziale, sostenuto da una regia calibrata e avvolgente, da interpretazioni convincenti, a cominciare dal protagonista, Marc-André Grondin, da una gestione meticolosa degli spazi, interni ed esterni. Arrivando ad un finale tanto intenso quanto angoscioso e straziante