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CLOUD (Kurosawa Kiyoshi)
Spettri digitali

Ryusuke Yoshii lavora in una fabbrica di Tokyo ma attraverso la rete rivende, a prezzo maggiorato, merci di varia natura, spesso contraffatte, utilizzando lo pseudonimo di Ratel, che tra i forum di acquirenti comincia a circolare con una sinistra nomea di truffatore. Il suo mentore, Muraoka, gli propone di investire su una piattaforma di aste online e abbandonare il reselling, ma Yoshii si rifiuta, per dedicarsi totalmente all’attività di Ratel. Dopo che Yoshii si licenzia dal lavoro regolare e si trasferisce fuori città, cominciano a moltiplicarsi episodi minacciosi ai suoi danni, sino ad assumere i contorni di una vera e propria caccia all’uomo.

Benché presenti molte delle caratteristiche dell’enunciazione del proprio autore, Cloud si distingue all’interno della produzione di Kurosawa Kiyoshi perché contiene un aggiornamento del discorso sull’Identità e la sua dissoluzione, ovvero su uno dei temi principali che informano la sua corposa filmografia. Mentre infatti da un lato prosegue il tipico lavoro di contaminazione tra generi che la caratterizza — in questo caso innervando situazioni e atmosfere western (nella seconda parte) in una cornice a metà tra il noir e il thriller —, il regista di Doppelganger esplora ancora una volta il tema dell’Identità, spingendo la propria personale ossessione verso il Doppio sul terreno del virtuale, e costruendo la narrazione come una riflessione sul rapporto tra l’Io e il suo spettro digitale. Essa è infatti imperniata su un personaggio che, come spesso accade nel cinema del regista giapponese, sembra abitare il mondo più come ombra che come essere umano. Un rivenditore di merce reperita in rete che risulta assai lontano dalla parabola spirituale e solitaria di altri suoi protagonisti, immerso in una rete di relazioni ambigue con persone che sembrano tutte recitare una parte, indossare una maschera. Un giovane ossessionato dall’accumulazione di denaro, che utilizza modi eticamente discutibili e che si muove dentro uno spazio definito, riconoscibile ma, fin dall’inizio, contaminato dal perturbante — altro elemento ricorrente del cinema del regista di Cure. Al contrario delle opere del passato però, qui non c’è bisogno di fantasmi, né di eventi straordinari, perché il mistero che avvolge il racconto si annida completamente nelle pieghe del quotidiano. Ovvero nelle profonde contraddizioni di una società ormai dominata dalle direttrici del capitalismo selvaggio,  il cui unico orizzonte sembra risiedere nel guadagno, non importa in che modo ottenerlo.

Illuminato come sempre da una luce antinaturalistica, che il regista nipponico utilizza per operare la trasformazione di ogni interno in un piccolo teatro mentale, e ambientato in spazi laterali, rarefatti, sottoposti al tipico lavoro di sottrazione che ne distingue la messinscena, Cloud  fa ampio uso di ellissi ed è connotato da un ritmo dilatato, nel quale l’azione viene spesso messa da parte per privilegiare le attese, concentrarsi sulle reazioni, far emergere le fratture. Con Kurosawa che riesce, con ammirevole economia di mezzi, a ben restituire un senso di inquietudine persistente e a farlo progressivamente dilatare come una crepa nel silenzio.

Ma l’opus n. 39  di Kurosawa Kiyoshi non è solo questo, in quanto aspira anche a essere una meditazione sulla percezione: di sé, degli altri, del passato che filtra nel presente sotto forma di oggetti, voci, presenze. Un’opera minore solo in apparenza dunque, assai più stratificata di quanto possa a prima vista sembrare, capace di essere esercizio di stile rigoroso e controllatissimo, thriller psicologico elegante e straniante e contemporaneamente riflessione sull’inafferrabilità dell’Altro. Non da annoverare tra i titoli migliori della sua sontuosa filmografia forse, ma un lavoro che comunque certifica Kurosawa tra i grandi autori contemporanei della dissimulazione emotiva.

 

Regia: Kurosawa Kiyoshi

Cast: Masaki Suda, Kotone Furukawa, Masataka Kubota

Giappone, 2024

Durata: 124’

CURE (Kurosawa Kiyoshi)

SPY NO TSUMA (Kiyoshi Kurosawa)

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Sull'autore

Francesco Crispino

Francesco Crispino è docente di cinema, film-maker e scrittore. Tra le sue opere i documentari Linee d'ombra (2007) e Quadri espansi (2013), il saggio Alle origini di Gomorra (2010) e il romanzo La peggio gioventù (2016).

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