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Denti da latte (Dinți de lapte) la recensione
Gli orizzonti di Venezia 82

Denti da latte

I fatti che accadono quando siamo bambini sono letti, vissuti e memorizzati come esperienze di crescita, restano nella costruzione della propria persona, come avvenimenti che creano esperienza e ci aiutano a diventare adulti. Nel momento in cui accadono appaiono strani, nuovi, spesso fanno ridere, possono diventare un gioco oppure lasciarci muti.

Dinți de lapte (Denti da latte) segna il ritorno di Mihai Mincan nella sezione Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia, dopo la dura pellicola To the Nord del 2022 sul tema della migrazione e delle sue conseguenze. Siamo nella Romania del 1989. La dittatura di Nicolae Ceaușescu persiste, seppur giunta alla fase terminale. In una piccola città fatta di palazzi real-socialisti, Maria, una bambina di dieci anni, sta giocando sotto casa, sua sorella Alina esce per portare lo sporco ai bidoni dietro i palazzi, le due hanno avuto un battibecco.

Maria la osserva allontanarsi con il bidone e l’immancabile radiolina accesa sul canale della musica nazionale, nota anche due figure strane per strada. Alina non fa ritorno. La madre inizia le ricerche nei dintorni, la famiglia cerca la bambina di notte e, quando comprende l’orrore, si rivolge alla polizia. La Miliția si mostra più interessata a difendere l’apparenza del controllo statale che a cercare la bambina e i suoi rapitori. Le ricerche proseguono in modo confuso. La famiglia è
abbandonata a se stessa. Nel vuoto lasciato da Alina si aprono crepe profonde.

Maria, trascurata dagli adulti, inizia a comprendere a modo suo quello che sta accadendo. Il regime entra nella vita delle persone imponendo loro di mantenere l’ordine e la sicurezza, senza cercare di agitare troppo le acque; quando la dittatura cade, la nuova polizia, fatta dalle stesse persone, chiude il caso per motivi economici. Per Maria finisce l’infanzia e inizia una età di mezzo senza risposte, vissuta in un mondo nuovo ancora da costruire.

Mihai Mincan sceglie di osservare i fatti tenendo la cinepresa puntata all’altezza di Maria, del suo sguardo, mantenendo la bambina come figura centrale della narrazione. Questo fatto di cronaca, avvenuto sul finire della dittatura, è il modo con cui il regista ha voluto raccontare la sua generazione e l’infanzia che ha vissuto. Ci mostra con dovizia di dettagli la vita rumena di quel periodo. Sono parte del racconto gli oggetti domestici, gli arredi degli appartamenti, i modi di fare semplici e ripetitivi, di contrasto agli annunci di grandezza, invocati dalle radioline sempre accese. Superati i palazzi in cemento armato si trovano gli ampi ambienti industriali abbandonati, dentro i quali Maria spesso vaga.

Sono ambienti alle volte mistici, aperti ad una dimensione di silenzio e di magia. Questi ambienti sotterranei, in cui tutti i bambini amano avventurarsi, sono il banco di prova della paura, di cosa vuol dire vagare nel buio. Per Maria potrebbero essere il luogo in cui ritrovare la sorella perduta o qualche sua traccia.

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Sull'autore

Simone Agnetti

Simone E. Agnetti, Brescia 1979, è Laureato con una tesi sul Cinema di Famiglia all’Università Cattolica di Brescia, è animatore culturale e organizzatore di eventi, collabora con ANCCI e ACEC, promuove iniziative artistiche, storiche, culturali e cinematografiche.

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