Siamo alla fine del 1932 quando due giovani tedeschi, Martin e Max, amici fraterni e soci in affari, si dividono perché il primo torna in Germania dalla famiglia, mentre il secondo, d’origine ebrea, rimane a San Francisco a occuparsi della galleria d’arte di cui sono proprietari. L’affetto che li unisce li spinge a un fitto scambio epistolare che, nel riadattamento del romanzo di Katherine Kressmann Taylor da cui è tratta la pièce, assume l’aspetto di un dialogo intenso, complesso e raffinatamente articolato.
L’aria che si respira in Germania in quel momento storico è particolare, c’è la netta sensazione di un inesorabile cambiamento che Martin vive sulla sua pelle e cerca di condividere con il suo amico. C’è attesa, speranza e qualche perplessità nei racconti di Martin, ma le voci che giungono negli Stati Uniti sull’avvento di Hitler non sono, però, affatto rassicuranti e l’odio razziale che si diffonde in Germania avvelena gli animi e inquina anche la purezza dell’amicizia. È in questo contesto che il dialogo tra i due finisce per farsi sempre più teso, distante, colmo di incomprensioni, fino ad incrinarsi irrimediabilmente e assumere un nuovo e sorprendente aspetto dalle sfumature thriller.
Lo spazio scenico in cui la performance prende forma è quello di una stanza, un’area ridotta dove si annulla il divario tra attore e pubblico. Un ambiente condiviso in grado di rendere magicamente possibile che uno scambio epistolare, a migliaia di chilometri di distanza tra gli interlocutori, possa divenire un serrato e vivo dialogo a due. Un confronto affatto lontano nel tempo, quanto mai contemporaneo e attuale sul tema razziale e su un’ideologia cieca e violenta, in grado di seminare odio e dissolvere cinicamente anche l’affetto più profondo. Sono le anime dei due giovani a confrontarsi tra gli sguardi del pubblico, le distanze reali si dissolvono, non esistono e la conversazione sembra attualizzarsi e coinvolgere direttamente gli astanti.
Un Kammerspiel in cui l’individualità di tutti i presenti è messa in gioco e costretta a porsi in discussione. Può l’ideologia, un’ideologia di puro odio, radicarsi a tal punto nell’uomo? La follia e la scelleratezza umana attecchire anche nei sentimenti più puri?
Certamente da segnalare è la coinvolgente energia e la forza recitativa degli attori Nicola Bortolotti e Rosario Tedesco – che ne cura anche regia e adattamento – che si donano con entusiasmo e giusta misura al pubblico, senza mai cadere nel facile compiacimento drammatico, ma accompagnando lo spettatore in un percorso intenso, ritmato e ricco di spunti di riflessione.
Lo spettacolo Destinatario sconosciuto è inoltre all’interno dell’interessante progetto Stanze (www.lestanze.eu), ideato da Alberica Archinto e Rossella Tansini e prodotto da Teatro Alkaest, nato a Milano nel 2012, come esperienza teatrale da vivere all’interno di appartamenti, musei, studi di artisti, magazzini. Luoghi, cioè, non convenzionali, dove ridurre la distanza tra spettatore e performance, alterando le prospettive canoniche, concedendone di nuove, tanto per lo spettatore quanto per gli attori e la regia, arricchendo le possibilità percettive del pubblico e offrendo agli artisti la facoltà di confrontarsi con nuove strategie di comunicazione e realizzazione estetica dal potenziale sorprendente.
DESTINATARIO SCONOSCIUTO
di Katherine Kressmann Taylor
regia e adattamento Rosario Tedesco
con Nicola Bortolotti e Rosario Tedesco