Se gli oggetti potessero raccontare la loro storia, le persone che hanno incontrato e le cose che hanno visto, guarderemmo la realtà con la giusta commozione perché ogni cambio di prospettiva ci insegna a osservare tutto ciò che pensiamo di conoscere come se fosse la prima volta. Guardare il cinema dalla cabina di proiezione insegna a non dare niente per scontato: la storia del cinema è anche quella dei suoi spettatori; è anche quella della sua tecnologia; è anche quella di come cambia il mondo fuori dalla sala e di quello che accade soltanto al suo interno.
Nidio Grego è gli occhi e l’anima storica della Sala San Pio X di Cartigliano (VI) e, soprattutto, della sua piccola e accogliente cabina di proiezione. A dieci anni di età, quando per i suoi coetanei il massimo dell’emozione consisteva nell’andare al cinema per vedere un film, Nidio aveva già tale dimestichezza con gli strumenti del proiezionista da poterne governare da solo parti del processo: «Sempre tranquillo accanto ai miei» – ci racconta – «imparavo sempre di più. Verso i dieci anni mi lasciavano già seduto al lato dei comandi della macchina. Ero capace di gestire la partenza del proiettore con il classico avviamento stella/triangolo e gli spegnimenti dei vari circuiti luce. Ero anche capace di tenere regolata la distanza dei carboncini per il fascio luminoso e cambiare gli obiettivi manualmente da un formato all’altro». Quando Nidio evoca il periodo successivo e dice: «Sono passato poi alle scuole medie», sta raccontando di qualcuno che – a dispetto dell’età – aveva già alle spalle una “lunga esperienza”.
Ci chiediamo quanti genitori siano capaci di generare una passione così nei loro figli, mostrando il loro entusiasmo nel mettersi all’opera. Ci sarà stato tanto impegno nel piccolo Nidio ma anche tanta meraviglia nei suoi occhi per desiderare così tanto di ripercorrere certi passi. «Quello che tu erediti dai tuoi padri» – ha scritto Goethe nel Faust – «riguadagnatelo, per possederlo». Invidiamo quei figli che ebbero il privilegio di crescere in una “bottega” come quella di Cartigliano e imparare così un mestiere, “per attrazione”. Il racconto di Nidio, come quello di un antico aedo, è però troppo affascinante per sostare nelle malinconie. «Ricordo che alle medie ero già capace di montare i film da solo, “ripassare” bene le pellicole e gestirmi la proiezione. I miei mi davano la libertà di restare da solo in cabina solo alla domenica pomeriggio; poi alla sera mi raggiungevano per smontare il film».
Chiediamo a Nidio cosa ha guadagnato, anche umanamente, lavorando con il papà e lo zio – “i due Giuseppe” – nel luogo ameno della cabina: «Ricordo quei tempi anche per aver ricevuto una bella lezione di vita. Papà e zio Giuseppe mi hanno detto chiaramente che se un giorno mi avessero visto con una sigaretta in mano, io non avrei mai più messo piede in cabina di proiezione. Ragion per cui nella vita io prima, e i miei fratelli poi, non abbiamo mai messo una sigaretta in bocca…». Anche così, per essere una passione “infiammabile”, il cinema si rivela educativo. «Una volta entrato alle scuole superiori, mi accorgevo che per i miei, soprattutto per mio papà, che era muratore, si stava facendo dura. Quando tornava dal lavoro lo vedevo stanco e quindi mi sentivo in dovere di aiutarlo, almeno in questo senso. Così mi sono preso la responsabilità della cabina. Non mancavano, però, negli anni successivi, di venirmi a trovare di tanto in tanto». Cambiano gli abitanti ma la cabina di proiezione continua a contenere storie.
«Ci passavo tantissimo tempo, mi portavo anche i libri per studiare. Ricordo bene il passaggio tra la fine degli anni Sessanta e il decennio successivo. Precisamente il mio diario segna: “gennaio 1971”. Io avevo quindici anni ed ero già da solo. I miei primi film sono stati Montecristo 70 (Sous le signe de Monte Cristo, Francia 1968 di André Hunebelle) e I ragazzi di Bandiera gialla (Italia 1967 di Mariano Laurenti). Al venerdì sera avevo anche il cineforum». Ma com’era la vita del ragazzino normale? Cosa succedeva fuori dalla sala? «Ricordo che appena rientrato dai pomeriggi di scuola dovevo correre a montare il film, poi tornare a casa per cenare e correre a proiettare, magari con qualche libro di testo sotto il braccio, e poi il sabato mattina ancora a scuola». All’epoca non esisteva ancora il termine “multitasking” per definire tale padronanza ma Nidio, che è perfettamente a suo agio oggi anche con il digitale, ha incarnato come tanti proprio la flessibilità richiesta da ogni passaggio di epoca.
«Sono andato avanti così fino al diploma ma nel frattempo ho preso anche il patentino per proiezionista e nel ’76, a vent’anni, ho iniziato ad avere la mitica tessera dell’AGIS che ci permetteva di entrare nelle sale italiane gratuitamente ma che io ho usato solo poche volte. Poi sono entrato nel mondo del lavoro e il cinema per me è stato quello che è stato per i miei, una passione!». Un altro ricordo dei vent’anni? «Mi ricordo un giorno di luglio molto caldo in cui dovevo proiettare due film diversissimi, Fantasia della Walt Disney (Usa 1940) al pomeriggio per i bambini e Terremoto (Earthquake, Usa 1974 di Mark Robson) alla sera per gli adulti. Un bel ventilatore arieggiava la cabina e mi dava ristoro, anche perché, a volume monitor spento, mi stavo preparando un esame di elettronica». Se gli oggetti potessero parlare, racconterebbero con stupore misto a gioia di queste piccole cose, di una stanza minuscola aperta sul mondo, del passaggio di un testimone dalle mani di un padre a quelle di un figlio, della loro fiducia reciproca e del piacevole ricordo delle loro estati.
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