Per il lavoro che faccio le richieste di buoni consigli filmici per l’8 marzo arrivano ogni anno sempre copiose. Pur riconoscendo per l’occasione la pregnanza assolutamente centrale della questione “donna e diritti”, (in tal senso nel progetto #Protagoniste tanti sono gli spunti per approfondire e programmare) vorrei qui soffermarmi su due titoli più “periferici” rispetto alla narrazione di “parità” mai concluse.
Sono È andato tutto bene e After love, due opere con cui festeggiare, bandendo ogni forma di retorica, l’8 marzo in modo alquanto originale; due storie che mettono al centro la raffinata capacità di noi donne di trovare comunque un angolo di senso in vicende esistenziali dove l’egotismo maschile ha nettamente prevalso.
Penso ad André, il padre davvero indigesto, capriccioso ed egoista delle sorelle Emmanuèle e Pascale, raccontato da François Ozon in È andato tutto bene, e che dopo una vita di soprusi chiede proprio alle due figlie di gestire il suo suicidio assistito in Svizzera.
E penso ad Ahmed, di After Love diretto da Aleem Khan, un padre anglo-pakistano che ha portato avanti due famiglie, più o meno all’insaputa l’una dell’altra, finché la morte non ha fatto capolino improvvisamente portandolo via ad entrambe.
Se da un lato in entrambe le storie c’è un uomo che esce di scena, lasciando una scia di dolore profondamente segnato dall’ambiguità e da indizi di un’umanità guasta, dall’altra ci sono in entrambi i casi sempre due donne che avrebbero potuto nuocersi a vicenda a causa della rivalità indetta da una parte da André, nel mitizzare una figlia a discapito dell’altra, e dall’altra da Ahmed, nel tenere in piedi due relazioni (una anche con prole) agli antipodi in termini culturali e religiosi.
E, invece, non succede, anche se percepiamo vivo sullo sfondo, e qui sta la bravura dei due autori, il rischio di questo metterci ancora una volta l’una contro l’altra, la puzza di quel conflitto atavico tra donne per avere un posto al sole nel cuore di lui.
E non importa che si tratti in un caso di una relazione filiale e nell’altro di coppia, perché è proprio l’eterogeneità del legame che illumina meravigliosamente la grandezza di queste donne che, invece, di ripiegarsi nel conflitto indotto, si aprono con pazienza reciprocamente ad un sentimento di bene, ad una ricerca di senso, al tentativo di limitare le distanze.
Il femminile si conferma, dallo sguardo maschile di Ozon e Khan, rammendo armonioso di affetti che hanno fatto conoscere tanta tribolazione, accorta e assennata sorellanza anche dove l’uomo aveva nascosto nella terra il bulbo dell’odio. Due film che portano a fare memoria di tante alleanze bibliche al femminile, sodalizi che il cinema continua a rappresentare con l’arguta consapevolezza che nessun comandamento ha mai ricordato agli uomini di non mettere contro le donne. In questa spirituale assenza “legislativa”, Emanuèle, Pascale, Genevieve e Mary diventano paesaggi sacri per il nostro sguardo.