Parlarsi dentro. Parlarsi addosso. È quel dialogo intimo che si nutre di immagini e di rappresentazioni, di condizionali e di congiuntivi, di fantasticherie ma anche di elaborazioni, al quale il cinema ha sempre periodicamente aperto la porta, o meglio la parete come nel caso particolare de Il discorso perfetto di Laurent Tirard. Adrien il protagonista preso in prestito dal romanzo francese “Il discorso” di Fabrice Caro (prima edizione con Gallimard nel 2018) invita, infatti, lo spettatore ad entrare nel suo salotto interiore, a sedersi e a far parte con lui di tutte quelle censure verbali e comportamentali che, implicitamente, tutti agiamo nel relazionarci con gli altri. Talvolta, però, Adrien ci invita anche a concederci qualche eccesso nel provare a recitare nuovi ruoli che più spesso non ci permettiamo. Perché l’unico discorso perfetto rimane solo quello con noi stessi, goffi legislatori del ventaglio di possibilità per il nostro presente. Tirard ci concede di sognare il lieto fine e di dimenticare anche le derive psichiche del bulimico soggiorno interiore.


Il discorso interiore affascina anche Mathieu Amalric, altro regista francese, che adattando liberamente una pièce teatrale di Claudine Galéa (“Je reviens de loin”), porta alla luce un’opera clandestina come i suoi protagonisti. Stringimi forte è, infatti, il discorso spirituale di elaborazione del lutto della protagonista Clarissa, che con le sue proiezioni mentali riporta la sua famiglia in vita ancora una volta prima di lasciarla andare. È un viaggio dove l’immanente cede progressivamente il timone al trascendente e che il montaggio, quel trattino che unisce vita e sogno, con la regia e la fotografia rende abitabile malgrado la dolorosa vertigine. E si compie tra simboli e ricordi. E si compie un numero infinito di volte perché la “demenza” di chi vive il lutto non si placa. Clarissa – una straordinaria Vicky Krieps che per un attimo ci riporta ai colloqui interiori di Alma in Il filo nascosto di Thomas Paul Anderson – è un’eroina del discorso spirituale che posa le sue fondamenta nella laicità della vita. È difficile tenere il suo passo, toglie il fiato eppure, con lei, la sintassi della separazione trova nuove rappresentazioni, nuovo senso.