Non va tutto a posto.
Nemmeno se capisci che hai una forza interiore che può farti saltare gli ostacoli.
Che può impedirti di sputare contro a quanto e quanti incontri di traverso.
E’ il sentimento con cui devono fare i conti la piccola Barbara e la sua giovane madre Fortunata.
Donne sempre di fretta, anche la più piccola, perché la vita non rilascia un buon profumo. E allora meglio tirare dritto che chissà mai che la puzza rimanga alle spalle. Ancora uomini difficili sul grande schermo, non pronti per amare, educare, stare al mondo. Disturbati in tanti modi da storie famigliari che lasciano tracce indelebili.
Qualcosa accade: la vita attrae Patrizio, il terapeuta travestito da messia pronto a mandare a quel paese ogni codice deontologico. E’ la dea bendata di Fortunata? E’ l’appiglio per convertire in bellezza il dramma di una vita?
Soltanto un attimo di felicità che non può mettere a posto una vita intera. Patrizio non ha abbastanza amore per stare al suo posto, per restare quando sarebbe facile andarsene come fece suo padre.
No, non va tutto a posto. Quasi mai.
Soltanto bisogna stare attenti a non scivolare più sotto di prima e nell’inseguire una rinascita può pure capitare. Fortunata, l’opera Castellitto-Mazzantini, avrà tanti difetti (una scrittura, ad esempio, fin troppo abitata dalla psicologia), ma ha anche il pregio di sfiorare, con una dolce rabbia, il carnale disincanto che dilaga in alcune esistenze più provate di altre.
In quegli attimi, lì nel buio della sala, la nostra vita va tutta a posto.
Dura poco ma il cinema ancora una volta ci salva.