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Francesco Niccolini, “Vi racconto la meraviglia”
L'intervista al drammaturgo aretino

 

“Il teatro è fatto di carne, non conosce effetti speciali se non quello della coscienza e dell’emozione, tiene in piazza le persone, quelle persone che altri vollero terrorizzate e chiuse in casa, di fronte al loro rassicurante televisore. Io invece provo ancora a scrivere e a sognare che un altro mondo è possibile, questo è il mio teatro” così il drammaturgo e regista Francesco Niccolini presentava Via Crucis, uno dei suoi testi più intensi e sofferti, scritto per commemorare la strage dei Georgofili di Firenze nel 1993.

Il tuo teatro è spesso un teatro di impegno civile, di memoria.

Sì, credo che il teatro debba essere prima di tutto un luogo di incontro per una comunità. Oggi più che mai è necessario tenere viva l’arte con gli artisti e con i cittadini. La maggior parte dei teatri italiani apre per lo spettacolo e chiude subito dopo, non sono luoghi vivi, dove parlare di chi siamo e della realtà che ci circonda. Ad esempio oggi vorrei scrivere sulla tragedia dei migranti e anche sulla vergognosa sentenza sull’amianto: temi che riguardano tutti e di cui è giusto parlare anche a teatro.

Sei uno scrittore molto prolifico, la riforma del FUS che dà un grande sostegno alla nuova drammaturgia ti ha aiutato a far conoscere il tuo lavoro?

Quest’anno ho tre miei spettacoli in scena al Teatro della Pergola di Firenze, tra cui la versione de I Duellanti di Conrad con Alessio Boni. Poi ci sarà uno spettacolo per ragazzi al Piccolo Teatro di Milano e altri progetti con varie compagnie in tutta Italia. E’ un ottimo momento per me ma non credo sia dovuto alla riforma che a parer mio ha irrigidito ancor di più i meccanismi di produzione e di coproduzione, mettendo in difficoltà tante compagnie in Italia.

Come si inserisce il tema del sacro nella tua drammaturgia?

Sono affascinato e attratto dal mistero e dalla sacralità perché, pur non permettendoci di comprendere razionalmente l’universo, ci fa battere il cuore ogni volta che ci pensiamo. Ecco perché il sacro, che per ognuno di noi ha un significato diverso, è un tema vivissimo che parla a tutti e ricorre spesso nei miei testi.

Uno dei tuoi ultimi lavori è Corrispondenze, uno spettacolo tutto giocato sul dialogo epistolare fra due sorelle, come è nata l’idea di raccontare una storia così particolare?

Amo moltissimo questo spettacolo proprio per la sua particolarità. Tutto è nato dall’amicizia fraterna che mi lega al regista Roberto Aldorasi il quale mi ha proposto una serie di ingredienti da cui partire per la stesura del testo: il titolo, due sorelle, il mondo delle suore di clausura e un libro di Cristina Campo molto bello ma con un linguaggio molto complesso. Capii subito che il libro della Campo non mi avrebbe aiutato, per iniziare a scrivere avevo bisogno di immaginare la vita passata di queste due donne, il loro rapporto. Così ho deciso di osservare i dialoghi fra mia moglie e sua sorella: come si parlavano, come riuscivano a comunicare… lì ho capito che non bisognava perseguire la complessità linguistica di una grande scrittrice, perché due sorelle, nella loro intimità, faranno tutto tranne che letteratura: in privato due sorelle sono tutto cuore, senza sovrastrutture. Una volta trovata questa qualità del linguaggio ci siamo convinti di perseguire la strada della semplicità assoluta.

Le due interpreti sono due danzatrici francesi, come hai coniugato la drammaturgia con la partitura coreografica?

Il fatto che nello spettacolo ci fossero dei momenti di danza è stata per me una ricchezza ma anche un vincolo, sapevo che avrei dovuto distillare le parole alla ricerca di un linguaggio essenziale. Un altro aspetto che mi ha molto condizionato è stato quello di aver immaginato un’architettura drammaturgica molto precisa: il testo doveva comporsi di otto lettere che avrebbero attraversato i due anni da novizia di clausura, una per ogni stagione e in corrispondenza dei vari momenti della vita monastica, dall’alba fino a sera. Questi vincoli invece di bloccarmi sono diventati punti di riferimento e i personaggi, dopo un anno di riflessioni con Roberto Aldorasi, mi sono improvvisamente apparsi davanti come se fossero vivi, in “carne e ossa”, così ho iniziato a scrivere alle nove di mattina e alle cinque del pomeriggio avevo finto. Questo è il segreto meraviglioso della scrittura per me: riuscire a trasformare il pensiero in “carne scenica”.

Hai scritto anche Per obbedienza, un testo che racconta la storia di San Giuseppe da Copertino, il cosiddetto “santo volante”, come è nata l’idea di tradurre per la scena la sua vita?

Ho sentito parlare per la prima volta di Giuseppe da Copertino tanti anni fa e da allora mi è sempre rimasta la curiosità di approfondire la storia di questo personaggio, così quando fui invitato a tenere un laboratorio in Salento con Fabrizio Pugliese, un attore che stimo moltissimo, subito pensai di lavorare su questo Santo salentino. Io credo che quando si affronta un personaggio storico sia necessario partire da una documentazione il più possibile esatta e dettagliata, se non riesco a trovare una fonte attendibile mi sembra di tradire la storia, mi sembra in qualche modo di mentire e non riesco a scrivere. Iniziai quindi subito a documentarmi sulla vita di Giuseppe e un giorno mi ritrovai a passare proprio per la città di Copertino, decisi allora di andare a vedere se c’era qualche biblioteca dove reperire del materiale ed entrai quasi per caso in una piccola cartoleria dove con mia sorpresa trovai un’intera parete di libri dedicati al Santo. E fu così che feci una scoperta che mi sembrò subito un segno del destino: tra i mille opuscoli e libretti trovai un vecchio volume, enorme, che probabilmente giaceva lì da decenni, una gigantesca biografia di frate Giuseppe scritta da un francescano negli anni ’60, un’opera enciclopedica, dettagliatissima, piena di fonti, onesta e molto ben scritta. Quello fu il punto di svolta, da quel momento il mio Giuseppino – mi piace chiamarlo così – iniziò a prendere vita e nacque Per obbedienza. L’unica licenza che mi sono preso rispetto alla realtà storica è il riferimento alla chiesa di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina, non so per certo che frate Giuseppe ci sia mai stato, ma si trova a pochi chilometri da Copertino e sono certo che davanti a quei meravigliosi affreschi lui sarebbe rimasto “a bocca aperta”, come era soprannominato.

La figura di Giuseppe da Copertino sembra ricordare quella de L’Idiota di Dostoevskij, ovvero lo “sciocco” in grado di comprendere di più e meglio dei cosiddetti “sapienti”, ma in più in frate Giuseppe c’è l’intervento della Grazia…

Per me è tutto concentrato nella “meraviglia”, che credo sia anche l’elemento comune fra Per obbedienza e Corrispondenze. Giuseppino è un “essere meravigliato”, in lui la Fede e la Grazia si manifestano proprio in uno sguardo unico sul mondo, è stata proprio questa caratteristica a farmi innamorare di lui. Non credo che poteri scrivere su ogni tipologia di personaggio, ma su di lui sì perché ho lo strumento della meraviglia che è per me alla base dell’idea stessa di teatro ed è la caratteristica degli attori che amo di più. Anche in Corrispondenze c’è la meraviglia: ricordo che durante le prove mi trovai a parlare con Anne (la danzatrice che interpreta la sorella fotografa) che aveva difficoltà a trovare il personaggio e alla fine il consiglio che le diedi fu di abbandonarsi al sorriso senza cercare di gestirlo né di dominarlo, perché il suo personaggio attraverso il sorriso poteva essere pervaso dalla meraviglia, una meraviglia diversa da quella di Giuseppe ma ugualmente luminosa, leggera e semplice.

MARINA SARACENO

(questa intervista è stata pubblicata sulla rivista SdC – Sale della Comunità)

 

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Sull'autore

Marina Saraceno

Diplomata all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio D'Amico" e laureata in Scienze della Comunicazione con una tesi sul teatro tradizionale cinese. In teatro ha lavorato con Luca Ronconi, Mario Scaccia, Jacques Decuvellerie. Ha lavorato per la comunicazione e la promozione culturale, tra gli altri, con il Teatro Nazionale di Roma, L'Associazione Italiana Editori, l'Ente Teatrale Italiano, Rai Trade, l'Unione des Theatres d'Europe, il Teatro Stabile del Veneto, il Progetto Domani per le Olimpiadi di Torino e la Fondazione Comunicazione e Cultura della CEI. Come giornalista ha collaborato con l'agenzia com.unica, il bimestrale Sale della Comunità, il settimanale pagina99