E’ un dato di fatto! Più ne vedi e più i film sanno generare quelle architetture di approfondimento di senso e di approfondimento che si completano reciprocamente. Sto pensando ad un week-end dove insieme sono usciti Calcinculo di Chiara Bellosi e Spencer di Pablo Larraín, due film lontanissimi per geografie tematiche e atmosfere estetiche, eppure così prossimi nel mettere al centro due protagoniste in forte affanno con il loro corpo. Film che arrivano in un momento dove soltanto chi scrive conosce 5 ragazze dentro ai cosiddetti “disturbi del comportamento alimentare” esplosi durante la pandemia, alcune di loro finite purtroppo anche in ospedale per mesi. Gli esperti ci dicono, a tal proposito, che la percentuale dei casi di anoressia, bulimia o disturbo da Binge Eating tra gli adolescenti sono aumentati drasticamente negli ultimi due anni. Le fiabe di Bellosi e Larraín, in tal senso, spalancano due diverse prospettive sul corpo che possono dare modo di riflettere.

Benedetta di Calcinculo è senza dubbio sovrappeso per il dietologo che ipotizza una revisione drastica della dieta se non piuttosto una sua osservanza più scrupolosa. Nell’incipit del film le affermazioni del dietologo rappresentano il simbolo dell’oggettività esclusa dal campo visivo che si abbatte sullo sguardo della ragazza, su un presente adolescenziale che non sente così forte l’esigenza di dimagrire, di controllare la propria esistenza attraverso il peso come succede alla madre stessa. Benedetta cerca altre giustizie e inclusioni, spazi e legami che una bilancia non riesce a soddisfare e che, invece, nel legame speciale con Amanda, altra identità in movimento, trova compensazione profonda.  Lo stesso bilanciamento che, quando l’esercito dei Windsor glielo consente, cerca anche la principessa del Galles di Spencer riesce a trovare in Maggie, la guardarobiera-costumista (bravissima Sally Hawkins) con la quale vive un legame altrettanto speciale.

Diana-Maggie e Benedetta-Amanda sono “coppie in disparte”, unioni di solitudini, dove i disturbi si placano temporaneamente e scende la pace dell’anima, il reale accadimento di uno spazio condiviso (la roulotte di Calcinculo e l’auto sportiva di Spencer) dove qualcuno ci apprezza, ci accetta come siamo, ci prende con sé. Quanto il cibo sia un di più, senza nutrimento, che mette sotto assedio la protagonista di Spencer e altre protagoniste fuori dallo schermo lo racconta bene l’inizio del film di Larraín dove il cibo di pregio viene consegnato i cassoni dall’esercito in quella che sembra una vera e propria esercitazione di guerra. Quel cibo che preannuncia l’inferno della principessa permette, invece, agli altri reali di trastullarsi, di convertire le calorie in gioia vissuta, tanto da venire pesati in entrata e uscita dal week-end in campagna come rito di un divertissement riuscito. Diana rifiuta la bilancia; Benedetta, invece, la accetta perché il suo temperamento subisce contrariamente all’eroina del popolo. 

Difficile per chi ha visto il recentissimo Po di Andrea Segre, sceneggiato con Gianantonio Stella, non pensare allora ai “miserabili” del Polesine (così si definisce uno degli anziani intervistati), già poveri prima del ’51 quando li sorprese anche l’alluvione che li mise in ginocchio per una vita intera o che, addirittura, non li fece mai più tornare a casa nei paesi lungo il grande fiume di vita e di morte. Sono ragazze e ragazzi, oggi tutti nella terza età, che confessano tra sorrisi e lacrime, ironia e commozione al regista di Welcome Venice e Io sono Li aneddoti e narrazioni molto intime su quanta fame dovettero imparare a tenere a bada. Una fame con cui impararono a convivere in quella che veniva definita l’Africa tra Ferrara e Venezia.

Ecco, andare al cinema con frequenza significa incrociare questi sguardi, così apparentemente lontani, ma che in realtà rammendano insieme, senza toni omiletici, ferite di ieri e di oggi in una trama complessa che disvela quanto la ricchezza di oggi non sia sempre una conquista. Avevamo poco, pochissimo, commenta una persona intervistata in Po, ma ci bastava. Oggi i giovani hanno meno? Parliamone con i film…

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Sull'autore

Arianna Prevedello

Scrittrice e consulente, opera come animatore culturale per Sale della Comunità circoli e associazioni in ambito educativo e pastorale. Esperta di comunicazione e formazione, ha lavorato per molti anni ai progetti di pastorale della comunicazione della diocesi di Padova e come programmista al Servizio Assistenza Sale. È stata vicepresidente Acec (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) di cui è attualmente responsabile per l’area pastorale.