Al cinema ci sono due film con protagoniste due bambine. Uno parla di vita. L’altro di morte. Uno si chiama Totem – Il mio sole, l’altro L’estate di Cléo. Il primo film è diretto da Lila Avilés. È stato il film con cui il Messico ha cercato di concorrere all’Oscar. Potremmo definirla un’opera collettiva, perché vive su una miriade di personaggi, ma poi, nel momento più intenso, si concede uno sguardo profondo di Sol, la bambina di 7 anni che illumina la vicenda.

Il vero soggetto del film sulla carta dovrebbe essere suo padre, gravemente malato. Tutta la famiglia si sta affaccendando per lui che è catalizzatore, onnipresente nel film, pur nell’assenza fisica per gran parte delle scene. Il padre si Sol è al centro della casa e dei pensieri delle persone che vi abitano perché tutto sanno che quello che stanno per festeggiare sarà l’ultimo compleanno dell’uomo. Tutti tranne, forse, Sol. La celebrazione che si sta per svolgere corrisponde a una graduale presa di coscienza della piccola la cui esistenza sta per essere stravolta.

 

Di case e di esistenze che cambiano in corrispondenza con la perdita delle altre persone parla anche L’estate di Cléo. A mettere il suo nome nel titolo questa volta è una bambina di sei anni riccioluta e miope. All’inizio del film le vengono prescritte altre lenti. Sono quelle che dovremo metterci noi spettatori per entrare in un mondo solare e sorridente, girato ad altezza di bambino. Il titolo Italiano richiama L’estate di Kikujiro, l’incredibile film di Kitano, mentre quello originale, Ama Gloria, richiama il sentimento prevalente di questo film: l’amore tra madre e figlia.

La regista Marie Amachoukeli-Barsacq lavora quasi interamente sui primi piani (incredibilmente spontanei) della bambina e sui sentimenti che proietta verso la tata, Gloria. Sua madre è morta quando lei era molto piccola ed è stata cresciuta da questa donna capoverdiana. Un’immigrata per lavoro, andata a Parigi per mantenere la sua famiglia in patria. Per lei è giunto il momento di tornare a casa e abbandonare la bambina che per anni è stata per lei “come una figlia”. Il padre di Cléo concede alla piccola un ultimo saluto: potrà trascorrere le vacanze a casa della tata e della sua famiglia.

Totem il mio sole
L'estate di Cleo

Sia nel film sulla vita che in quello sulla morte il concetto di casa è al centro del meccanismo di crescita. Un luogo materiale e immateriale. La casa di Sol è fuori controllo in maniera drammatica, nel senso che in ogni stanza si svolge un dramma incontrollato. Dalle sedute per scacciare gli spiriti maligni, alle crisi della zia alcolizzata, non dovrebbe esserci pace, in linea teorica. Invece tutto si allinea a lungo andare e il film, dopo una prima ora difficile, si scioglie in una commozione genuina che sfocia nella battuta più semplice e potente: “quanto amore”. Lo dice l’uomo che muore, di fronte ai cari che sta per lasciare con una pace ritrovata.

Per Cléo la casa è invece una persona: Gloria. A Capo Verde trova dei bambini e una ragazza più grande che non sa bene come inquadrare. I figli della sua tata sono persone distanti da lei, non parlano nemmeno la stessa lingua! Però prova le stesse gelosie dei fratelli e viene trattata allo stesso modo come una di casa (seppur a sua volta vittima di invidie). Cléo è una bambina dalla straordinaria vitalità. Dopo la morte della madre ha costruito tutti i ricordi con Gloria, la seconda mamma della sua vita. Una le ha verosimilmente insegnato a camminare, l’altra a stare a galla, nel mare come nella vita. Tornerà a casa da quell’estate cresciuta, con uno sguardo sul mondo chiaro, nonostante i difetti della vista, perché ha potuto focalizzare ed esprimere sentimenti così potenti e misteriosi come l’affetto, l’amore filiale e la tenerezza.

La domanda, a questo punto è: qual è il film sulla vita e quale sulla morte? La risposta sembra scontata: Totem, in cui una famiglia deve salutare un padre alla fine dei suoi giorni, dovrebbe parlare di morte. L’estate di Cléo, in cui una bambina cresce e si diverte lungo un’estate piena di energia in cui esplora il mondo, dovrebbe essere quello della vita. Invece il bello del miglior cinema è che non vive mai di assoluti e sovverte (quasi) sempre le aspettative.

Così la festa per chi non ci sarà più non diventa un funerale prima della dipartita, bensì una potente celebrazione della vita stessa, del segno lasciato da un’esistenza. Il saluto finale di Cléo a Gloria mentre sta per ritornare in Francia suona invece più che come un arrivederci come un addio. Nella poetica del film, la distanza che la separerà dalla tata è quella che la terrà lontana dalla persona che è per lei come madre.

Chi l’ha detto che parlando di vita non si può piangere e parlando di morte non si può sorridere?

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Sull'autore

Gabriele Lingiardi