Michele e (il) Walter sono i due protagonisti delle commedie dolce-amare Un mondo a parte, l’esodo in quota abruzzese di Riccardo Milani e Zamora, l’esordio alla regia di Neri Marcorè ispirato al libro omonimo del giornalista sportivo Roberto Perrone. Dopo 40 anni di turbolenta e asfittica docenza romana un professore (Antonio Albanese) chiede un temporaneo spostamento nella provincia abruzzese. A Michele tocca in sorte una pluriclasse di un paesino della Marsica, dove a fronte di pochissimi alunni tra i banchi eredita in compenso le vicende di intere famiglie. Presto capirà a sue spese che in questi borghi montani le scuole che non chiudono diventano l’unico presidio, davvero carico di umanità, sia del bene collettivo sia di quello domestico.

Se Michele sceglie il cambiamento per poi fare di tutto, in realtà, per non assecondarlo, Walter (il bravissimo Alberto Paradossi) invece lo subisce, perché la fabbrichetta di Vigevano dove lavora come contabile chiude improvvisamente. Il ragioniere, nell’anima prima ancora che nella professione impiegatizia, accetta un lavoro nella brillante azienda milanese del cavalier Tosetto (quanto è adeguato Giovanni Storti), maniacalmente focalizzata anche nel folber settimanale, il neologismo di Gianni Brera per il football qui applicato agli allenamenti e partite tra dipendenti scapoli e dipendenti ammogliati. Di fronte a questa urgenza del boss Walter si dichiara, guardandosi attorno, inconsapevolmente interista e portiere non ammogliato.

Condensando: Michele non sa niente di montagna quanto Walter non sa nulla di calcio, eppure entrambi per sopravvivenza, ecco il viaggio iniziatico dell’eroe, non possono esimersi dal tuffarsi nel nuovo paesaggio a cui hanno piegato la loro vita. C’è una patria da dismettere almeno temporaneamente, e che in modo diverso stava pure stretta ad entrambi, per imparare ad affrontare un’altra terra, per capirla, per provare ad integrarsi. Sempre entrambe le figure, però, difettano di principio della realtà, intrappolati nel loro modo di incasellare il mondo, più interessate a riconfermare i loro schemi di funzionamento che a decifrare il paesaggio che hanno davanti.

Esemplare tutto l’armamentario teorico, simboleggiato nel libro La restanza di Vito Teti docente ordinario di antropologia culturale, con cui Michele cerca di guidare la risoluzione di alcuni drammi familiari dei suoi alunni, non avendo chiaro nel mentre nemmeno l’abbigliamento di cui dotarsi per arrivare vivo a sera. Per inciso l’anno scorso nelle sale della comunità, proprio con il volume in mano citato, la sottoscritta aveva commentato più volte il bellissimo film cinese Terra e polvere di Rui Jun Li che merita davvero di essere letto e che Milani con lo sceneggiatore Michele Astori, grazie all’imbarazzo generato dal protagonista, porta all’attenzione di un pubblico molto ampio.

Zamora
Un mondo a parte

Se per essere credibili in una comunità bisogna, quindi, prima passare nell’apprendimento di “usi e costumi” di quel territorio – e non si tratta, come più spesso si vorrebbe, di derubricare il tutto in banale folklore –, lo stesso processo coinvolge anche Walter che al calcio preferisce Fellini e ad una sala da ballo antepone goffamente l’amore romantico. Il microcosmo dell’azienda milanese diventa, allora, il suo biglietto d’ingresso negli anni ’60 – quante volte le milanesi lo sollecitano ad aggiornarsi – e ad abbandonare la cuccia confortante di casa Vismara dove tutti si inginocchiano in armonia alla liturgia di Mike Bongiorno.

Per sperimentare la propria “restanza” Michele e Walter hanno bisogno di una mediazione culturale autentica, che sappia toccare l’anima di un paesaggio. In Un mondo a parte, e che fatica essere eletti a residenti, sarà la vicepreside Agnese (Virginia Raffaele) ad obbligare Michele a «impicciarsi» con la realtà, a scoprire con pazienza tutte quelle cose che «la montagna lo fa», a respirare la rassegnazione che «qui si mangia a morsi come la scamorza». In Zamora – l’appellativo dello storico portiere spagnolo affibbiato sulla fiducia al neo assunto – la mediazione viene agita, oltre alle donne come dicevamo, in particolare dalla debilitata figura dell’ex portiere Cavazzoni (il ruolo che Marcorè tiene per sé) che porta a trasfigurare la vendetta del Walter in una profonda emancipazione della sua persona.

Quando Michele e Walter riescono a stare davvero con chi hanno davanti, mettendo in pausa tutto quello che pensano di sapere già, si scoprono fallaci e nella possibilità di perfezionarsi, di aggiungersi ad una comunità nell’arricchimento di sé, ma senza per questo doverla idealizzare. Macinare chilometri, uscire dal salotto di un’epoca, lasciarsi ferire ma non irrimediabilmente, vestire nuovi abiti e molte altre dinamiche abitano due opere sincere, peraltro adatte ad ogni età, che invitano a prendersi la fetta di crescita che ogni esperienza di “spostamento” offre alla nostra identità.

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Sull'autore

Arianna Prevedello

Scrittrice e consulente, opera come animatore culturale per Sale della Comunità circoli e associazioni in ambito educativo e pastorale. Esperta di comunicazione e formazione, ha lavorato per molti anni ai progetti di pastorale della comunicazione della diocesi di Padova e come programmista al Servizio Assistenza Sale. È stata vicepresidente Acec (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) di cui è attualmente responsabile per l’area pastorale.