Il Grande Carro, oltre che una costellazione, è un teatro di marionette gestito da una famiglia di burattinai: i fratelli Louis, Martha e Lena; il padre, che dirige il gruppo; la nonna, che realizza le marionette. Insieme, formano una compagnia e mettono in scena spettacoli applauditi da un pubblico di piccoli e divertiti spettatori. Un giorno, però, durante una recita, il padre muore di ictus, lasciando soli i suoi figli…
Si respira ben più che un’aria di famiglia, ne Il grande carro, premiato all’ultima Berlinale, dove ha vinto l’Orso d’argento per la migliore regia. Il film di Philippe Garrel, infatti, non si limita a mettere in scena l’attuale, reale nucleo famigliare del regista francese, rappresentato dai figli attori Louis, Esther e Léna, ma attingendo all’esperienza sul campo della parentela precedente (il padre di Garrel, prima di diventare attore, era effettivamente un burattinaio nella compagnia di Gaston Baty) inserisce nella trama, immaginaria ma coerente con il proprio ‘albero genealogico’, l’ossessione per la pittura e, seppure di riflesso, il richiamo del palcoscenico teatrale, arrivando a comporre un’elegia, partecipata e personale, sulla inevitabile caducità dell’arte.
Nella rappresentazione della disgregazione di una compagnia di burattinai, sullo schermo prende dunque forma la metafora di un mondo in cui le tradizioni stanno scomparendo. E con esse, quella concezione di ‘bottega artigianale’ che, dell’arte, rappresenta l’essenza più autentica, il suo originario e generoso cuore pulsante. Il grande carro, in fondo, nella sua narrazione pianamente descrittiva di una generazione di artisti che vivono quasi come reclusi volontari in una grande casa-fabbrica vicino a Parigi, contiene un puro spirito documentaristico: il ritratto di ‘come eravamo’ e di come potremmo arrivare ad essere perdendo la spensieratezza e il candore del fanciullino che è in noi, tra una coppia che si sfalda dopo la nascita di un bambino e un desiderio di successo e visibilità che non obblighi più a nascondersi agli occhi del pubblico, dietro una scenografia, mostrando solo le mani alzate dentro un pupazzo di stoffa.
Non c’è molto d’altro, nel film di Garrel. Ma l’articolazione del racconto in un variopinto girotondo esistenziale, condito di engagement militante, di anticonformismo retrò e di passioni indomite, conferisce all’opera un sapore dolceamaro, antico eppure moderno.
Regia: Philippe Garrel
Interpreti: Louis Garrel, Esther Garrel, Léna Garrel, Aurélien Recoing, Francine Bergé
Nazionalità: Francia, 2023
Durata: 95’