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IL GRANDE SPIRITO (Sergio Rubini)
Dai tetti di Taranto

Durante una rapina in cui deve fare da palo, Tonino approfitta della distrazione dei due complici per scappare con tutto il malloppo. Si rifugia in un vecchio lavatoio su una terrazza dei quartieri popolari di Taranto, dove trova uno strano individuo che sostiene appartenere alla tribù dei Sioux. Ferito a una gamba e costretto a una forzata immobilità forzata, Tonino deve forzatamente allearsi con lo squilibrato che si comporta come un pellerossa ma che è anche l’unico a poterlo aiutare a uscire dal vicolo cieco in cui è finito.

Dopo la parentesi “romana” durata quasi dieci anni e in cui ha realizzato due titoli da regista (Colpo d’occhio e Dobbiamo parlare), il tredicesimo lungometraggio firmato da Sergio Rubini è segnato dall’importante ritorno alla sua terra d’origine (la Puglia, dopo L’uomo nero del 2009), dal proseguimento di un’intrigante collaborazione attoriale (quella con Rocco Papaleo) iniziata proprio quest’anno (sul set di Moschettieri del re di Giovanni Veronesi), ma anche da una location che rappresenta un inedito assoluto nella sua filmografia. Aspetto che riveste un ruolo assolutamente primario, in quanto la città di Taranto qui non fa da semplice sfondo alla vicenda, ma assurge a personaggio dotato di una propria tridimensionalità.

Probabilmente anzi lo sguardo con cui Rubini la ritrae nelle sue contraddizioni è uno degli elementi migliori del film, il luogo dove si esprime meglio l’attaccamento alla (propria) Terra che contraddistingue molta della sua recente produzione, sia come regista (La terra, L’uomo nero), che come attore (Il bene mio di Pippo Mezzapesa). Uno sguardo partecipe e attento che sceglie di privilegiare il punto di vista dall’alto, quello dalla fatiscente terrazza in cui cerca rifugio il personaggio che interpreta. Per dare da un lato profondità di campo al mostruoso colosso dell’Ilva, il cui fumo delle ciminiere è una presenza tanto incombente quanto angosciante; e dall’altro per suggerire un punto di vista entomologico con il quale seguire i frenetici movimenti dei personaggi nell’aggrovigliato susseguirsi dei vicoli cittadini in cui disperatamente si muovono.

Positiva è anche la collaborazione tra Rubini e Papaleo, che qui dà vita a uno dei personaggi più eccentrici ma anche più significativi della sua carriera, a dispetto di uno script mercuriale, capace di alterna felici intuizioni a situazioni più prevedibili e personaggi (soprattutto quelli femminili) meno articolati. Il grande spirito conferma insomma quanto già espresso in passato dal regista pugliese, la cui indubbia sensibilità per le situazioni talvolta non viene supportata da una costruzione drammaturgica e discorsiva che richiederebbero.

Regia Sergio Rubini

Con Sergio Rubini (Tonino detto “Barboncino”), Rocco Papaleo (Renato detto “Cervo nero”), Ivana Lotito (Teresa), Bianca Guaccero (Milena), Geno Diana (Benedetto)

Italia 2019

Durata: 100’

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Sull'autore

Francesco Crispino

Francesco Crispino è docente di cinema, film-maker e scrittore. Tra le sue opere i documentari Linee d'ombra (2007) e Quadri espansi (2013), il saggio Alle origini di Gomorra (2010) e il romanzo La peggio gioventù (2016).