Tu sei con tue bellezze uniche e sole 
Splendor di queste piagge, egli di quelle.
Egli nel cerchio suo,
tu nel tuo stelo, 
tu Sole in terra ed egli rosa in cielo.

(Gian Battista Marino, Adone, III 159)

Si chiama Gloria, indossa un abito rosso e nella sua dolente condizione emana una sensuale sensibilità. Graffia e profuma, come una rosa. È una creatura reale di pelle e ossa, capelli al vento e occhi smarriti, aggrovigliata in un mondo fatto di tenerezza, rabbia, visioni e incubi che restituisce al mondo esterno una dolce durezza spigolosa. Una creatura dal fascino ambiguo  che incrocia il mito e la fiaba e al contempo attraversa una silenziosa e graduale ribellione interiore. Le sue emozioni sono violente e contraddittorie e il riferimento al colore rosso è rivelatore per cogliere la sua condizione in bilico tra desiderio e affermazione, giovinezza e maturità.

È Gloria il sangue del film Adoration ideale terzo capitolo con cui Fabrice Du Welz conclude la sua personalissima trilogia sull’amore estremo composta da Calvaire (2004) e Alleluia (2014). Una figura difficilmente dimenticabile nonostante (o forse proprio per) la sua impronta respingente. Accecato da Gloria, il dodicenne Paul (Thomas Giori che ricorda tanto l’Igor de La promesse dei Dardenne) sembra non poterne fare a meno, spinto e attratto da una forza misteriosa che assume contorno e sostanza nei rigidi paesaggi offerti dalle Ardenne. Paul è ostinato ma con lo sguardo vigile: sembra essere l’unico a vedere Gloria, a crederle e ad accoglierla in tutta la sua fragilità. Figlio di una dottoressa in un ospedale psichiatrico, Paul se ne innamora sapendo che Gloria è una paziente dell’ospedale pur negando di soffrire di disturbi mentali. Dal primo, fugace momento vissuto lontano dal controllo degli adulti nasce una storia travolgente che condurrà i due a fuggire e perdersi per centinaia di chilometri alla ricerca di un approdo, un posto dove andare, una salvezza. Una fuga d’amore traumatica, convocati dalla libertà al cospetto di una fitta e interminabile foresta nera.
Tutto il film di Du Welz è concepito come un unico grande atto di culto nei confronti di una Natura autorevole e selvaggia: Adoration è un’opera potente per come traduce l’emotività instabile dei suoi protagonisti ma pure coraggiosa per come riesce a far immergere lo spettatore in un’esperienza di visione sovversiva e caotica dove l’immagine permea i silenzi, la distanza tra i corpi, gli sguardi tra Paul e Gloria, restituendo rara intensità e profondità. Facendo leva su un ordine del simbolico mai didascalico, Du Welz ripropone così un’idea di cinema autentica in cui materico e spirituale convergono sorprendentemente e, al contempo, riesce a oltrepassare i codici della narrazione di una convenzionale fuga d’amore intrisa di romanticismo e trascendenza, furore e tremore. Se nella prima parte smonta la struttura del genere contaminandolo con l’horror, nella seconda depista tutti e ribaltando le regole del gioco con un finale estremo e imprevedibile che provoca lo spettatore mettendolo di fronte all’apparente assurdità di una scelta irreversibile.

Credere, vedere, amare. Paul non può farne a meno. E chi potrebbe? Adoration si domanda questo abbracciando la ruvidezza di un amore incomprensibile senza la presenza della poesia e lasciando in sospeso il giudizio su Gloria. Del resto, una rosa è una rosa o, come ci esortano i versi di Concessione di Giorgio Caproni:

Buttate pure via
Ogni opera in versi o in prosa.

Nessuno è mai riuscito a dire

Cos’è, nella sua essenza, una rosa.

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Sull'autore

Matteo Mazza