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La Sala e Netflix: un confronto inevitabile
Il cinema nell'era delle piattaforme digitali

Roma di Alfonso Cuaron, vincitore del Leone d’oro alla Mostra di Venezia e potenziale candidato per il premio Oscar, concorrerà al prestigioso riconoscimento? Difficile rispondere al momento. Come è noto, per partecipare alla corsa Oscar è necessario che il film sia uscito in sala, ma Netflix, che ha prodotto Roma, è disponibile a far proiettare il film su grande schermo? Consapevole dell’importanza della statuetta assegnata dall’accademia di Hollywood, sembra che Netflix stia pensando, precedentemente alla distribuzione sulla piattaforma, ad un’uscita in sala di Roma per fine anno su un numero limitato di piazze e per un breve periodo di tempo. Insomma un escamotage per garantirsi la possibilità di concorrere ed eventualmente vincere l’Oscar. Premesso che un’uscita di questo tipo penalizzerebbe comunque il film, perché più ampia è la programmazione, maggiori sono le possibilità di visione da parte dei giurati dell’Oscar, fra gli esercenti americani c’è chi definisce l’uscita ipotizzata da Netflix un trucco, uno strattagemma di marketing, piuttosto che un’autentica programmazione, contestando implicitamente che il film possa correre per la statuetta di Hollywood.

In ogni modo, il caso Roma ha fatto esplodere il dibattito sul rapporto fra sfruttamento theatrical e piattaforme. Contrariamente a SKY, Disney-Fox e Amazon, Netflix non ha previsto per i propri film una prima uscita in esclusiva in sala. Netflix concede al massimo una programmazione in contemporanea, sala e piattaforma insieme, come accaduto proprio da noi con Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, il film sul caso Cucchi, uscito, subito dopo l’anteprima alla Mostra di Venezia, in un numero limitato di cinema, perché la maggioranza degli esercenti italiani ne ha rifiutato la programmazione a causa della concomitanza con la disponibilità su piattaforma. «Si tratta – puntualizza Domenico Di Noia, presidente della Fice, la Federazione dei Cinema d’Essai – di una scelta condivisa da tutte le associazioni degli esercenti a livello internazionale. La priorità del consumo di film in sala deve essere garantita, sia per evitare la sparizione del grande schermo, sia perché questo è il modo migliore per ottimizzare lo sfruttamento economico del prodotto film». «La questione – fa eco Francesco Giraldo, segretario dell’Acec, associazione che rappresenta il circuito delle Sale della Comunità – è disegnare una filiera del valore economico del film. Avendo un bacino di utenza sufficiente, composto da 130 milioni di abbonati, il modello di business di Netflix non prevede lo sfruttamento dei diritti theatrical, ma è evidente che questo modello risulta conflittuale con la realtà attuale. È vero il mercato cambia con lo sviluppo tecnologico, ma il mercato non può essere schiavo della tecnologia. La piattaforma sarà il futuro del cinema, ma deve esserlo insieme alla sala».

Da qui la necessità di intervenire con le regole, superando l’attuale deregulation e uniformando obblighi di tassazione e di investimenti per tutti i soggetti che utilizzano il cinema, Netflix e OTT comprese. Fissate suddette regole, si potrebbe pensare alla possibilità di uno sfruttamento in contemporanea su tutti i mezzi del film. Il compromesso sarebbe auspicabile, oltre che possibile, sulla base di un reciproco comune interesse. Le sale hanno necessità di prodotto di qualità e Netflix ne produce; Netflix ha interesse che i propri film ottengano, grazie alla programmazione in sala, prestigio e popolarità. D’altra parte l’arrivo di Netflix non è più devastante della nascita di altri precedenti concorrenti alla sala: il grande schermo è infatti sopravvissuto alla televisione e a tutte le successive tecnologie di visione: VHS, CD, video on demand. La pericolosità della novità Netflix sta nel fatto che, per la prima volta, il nuovo soggetto reclama per sé l’esclusività di utilizzo. Finora i progressi tecnologici avevano moltiplicato le possibilità di visione; se Netflix riuscisse ad imporre il proprio modello, sarebbe la fine dell’utopia secondo la quale le nuove tecnologie sono sinonimo di libertà.

Ma, tornando al nocciolo della querelle, si può concretamente pensare di poter prevedere la visione contemporanea fra sala e piattaforma? I due media si rivolgono in effetti a segmenti di pubblico in gran parte diversi e non conflittuali. Non è logico ipotizzare che gli amanti del grande schermo, giustamente consapevoli della superiorità della visione in sala, siano pronti ad abbandonare i cinema per rivolgersi al consumo domestico, così come esistono nuove generazioni di pubblico, cresciute lontane dalla sala, che difficilmente potranno essere riconvertite. In altri termini si può prevedere che la contemporaneità provocherebbe una contenuta erosione di pubblico nei cinema. Il danno economico per gli esercenti potrebbe essere ampiamente annullato da una revisione delle quote di noleggio. Si potrebbe concordare che per i film offerti in uscita contemporanea, il costo di noleggio, attualmente previsto attorno al 40-50%, venisse drasticamente ridotto. «Ma in questo caso – interviene Di Noia – il pericolo è che questa differenziazione dei costi di noleggio venga garantita solo per un tempo ridotto e inoltre, aperto un varco, sarebbe complicato contenere il fenomeno. Piuttosto, fissate delle regole sulla priorità della visione in sala, si potrebbe pensare alcune deroghe, in particolare per i film che escono sul mercato con un numero contenuto e limitato di copie, ricordando, tuttavia, che anche i film lanciati su pochi schermi vengono comunque recuperati a breve distanza dalla prima uscita da molte sale di profondità. L’avvento del digitale, che avrebbe dovuto garantire anche ai piccoli cinema la disponibilità di film in prima battuta, finora ha favorito solo i blockbuster, che arrivano ad essere lanciati anche su mille schermi, con notevole risparmio di costi per le distribuzioni. Invece per i piccoli cinema l’accesso al prodotto continua ad essere complicato. In Italia – prosegue Di Noia – le strozzature che non aiutano lo sviluppo del mercato sono principalmente due: la stagionalità, limitata a pochi mesi l’anno, con il grande buco nero dell’estate, e le modalità di distribuzione, che impongono agli esercenti, e in particolare ai più deboli, gestori di sale mono o bi schermo, obblighi di teniture, giorni di programmazione, orari. Le distribuzioni vogliono controllare tutto, vanificando le opportunità offerte dal digitale, che favorirebbero palinsesti maggiormente variegati. Sarebbe necessario anche un intervento sulla legge, perché oggi, per beneficiare di una serie di incentivi, un film deve obbligatoriamente uscire in sala. La conseguenza è che si crea un intasamento di uscite con titoli che non meritano il grande schermo e che, questi sì, potrebbero essere programmati direttamente sulle piattaforme».

«Il fatto è – sostiene Giraldo – che la sala non è più un contenitore, bensì un contenuto. Non un luogo dove, per fini meramente commerciali, si assiste semplicemente alla proiezione di un film, ma una location dove si vive un’esperienza. Per questo motivo le regole non possono essere affidate esclusivamente al mercato. Vanno ribadite posizioni di principio sulle quali non possono esserci deroghe: la difesa della sala deve essere il primo comandamento».

Articolo pubblicato su SdC – Sale della Comunità n.5/18

 

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Sull'autore

Franco Montini