Si rallegrino i filosofi che rimangono un faro sul tema. Si rallegri Ermanno Olmi, che tanto ci manca e tanto ci credeva da scambiare biblioteche di testi sacri per un bicchiere in compagnia di un amico. Si rallegrino i genitori che si sentono dei beati quando un figlio trova un po’ di futuro in un’amicizia. Amanda, il film di Carolina Cavalli, è proprio così… ti orienta alla gioia, alla gratitudine per l’esperienza dell’amicizia, ma non prima di averti fatto provare come si sta nei vestiti sdruciti della solitudine, dell’isolamento, dello straniamento, dell’incomunicabilità.

Eppure Amanda, ma anche Rebecca – interpretate da Benedetta Porcaroli e Galatea Bellugi, entrambe molto brave – potrebbero avere un guardaroba da sogno, tanto sono figlie della borghesia più ricca quanto ingarbugliata. Le due ragazze ricadono, invece, sempre sugli stessi abiti costruendo così il proprio personaggio e quasi avvinghiandosi ad una sobrietà che non hanno avuto in dono nella culla. 

Secondo gli esperti della psiche la prima ha una personalità borderline e continua a collezionare giornate senza scopi e la seconda vive come un Hikikomori ritirata nella sua stanza da molto tempo, meglio se sotto il letto, e gli esperti li riceve direttamente in disparte in questo suo rifugio.

Non che non siano importanti i profili restituiti dagli esperti, ma Cavalli – anche sceneggiatrice del film – sceglie di procedere in altra direzione, facendoci sentire più la fame di relazione che prova Amanda che non il lessico clinico delle tante complessità dei paesaggi adolescenziali. Dona al cinema una storia che sfugge continuamente, anche imperfettamente come succede in ogni opera prima, ad una griglia contenitiva psicologica. E gliene siamo riconoscenti perché, invece, di ingessare il film in una narrazione clinica lo libera con il desiderio di chi ha deciso che è ora di sapere come si sta ad avere degli amici, cosa si prova ad essere rifiutati o delusi da quest’ultimi, come batte il cuore di chi scopre che l’amicizia scalda la vita di una compiutezza altrimenti rara.

Philia è quella scuola della vita (e della strada che le lussuose dimore borghesi impediscono?) della quale Amanda si rende conto di avere bisogno ma anche nostalgia, quasi l’avesse già vissuta in un’infanzia di cui non ha ricordo, e che può guarirci dalle giornate senza senso, dalle ferite di una vita senza radici, dalle famiglie con troppi soldi ma troppo poco centrate e perfino dall’andare al cinema sempre da soli. Amanda con i suoi rave senza droga, con il suo cavallo che non monta mai, con il suo chattare senza sesso ci fa sentire quanto l’amicizia possa nutrire costruzioni sociali sempre più rare, dove l’interesse (capitalistico) non è più al primo posto, ma dove la solidarietà ritorna in auge anche con la scorretta freschezza di un petardo tirato per empatia. Un petardo di cui saprete solo nel buio della visione!

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Sull'autore

Arianna Prevedello

Scrittrice e consulente, opera come animatore culturale per Sale della Comunità circoli e associazioni in ambito educativo e pastorale. Esperta di comunicazione e formazione, ha lavorato per molti anni ai progetti di pastorale della comunicazione della diocesi di Padova e come programmista al Servizio Assistenza Sale. È stata vicepresidente Acec (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) di cui è attualmente responsabile per l’area pastorale.