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LUNANA: IL VILLAGGIO ALLA FINE DEL MONDO (Pawo Choyning Dorji)
La ricerca della felicità

Un giovane insegnante del Bhutan, Ugyen, si sottrae ai suoi doveri mentre progetta di andare a vivere in Australia assecondando la sua passione per il canto. Come rimprovero, i suoi superiori lo spediscono nella scuola più remota del mondo, lungo i ghiacciai dell’Himalaya al confine con il Tibet, in un villaggio chiamato Lunana situato a 4.800 metri di quota. Giunto in loco dopo un estenuante cammino di otto giorni, Ugyen si ritrova privato di ogni comodità: a Lunana non c’è elettricità, né libri di testo e nemmeno una lavagna in aula. Sebbene poveri, gli abitanti del villaggio porgono un caloroso benvenuto al nuovo maestro, ma egli si ritrova ad insegnare ai bambini senza alcuno strumento didattico…

Candidato all’Oscar 2022 per il miglior film internazionale, Lunana: il villaggio alla fine del mondo trae linfa vitale dalla maestosità delle ambientazioni paesaggistiche che illuminano lo schermo e dalla naturalezza del ridotto tessuto umano che le popola realmente: girato nei veri luoghi, con l’intera comunità locale di 56 persone coinvolta nelle riprese, il film di Pawo Choyning Dorji (al suo debutto nella regia) pulsa di una fresca spontaneità alimentata dalla volontà di contrapporre la semplicità della vita rurale alle sovrastrutture della modernità, la ricchezza d’animo al benessere materiale. Metafora di una necessaria, salutare e spirituale ‘sospensione dagli affanni’, Lunana (letteralmente “la valle oscura”, così lontana che la luce in certe stagioni non riesce nemmeno a raggiungerla) si pone dunque come una meta impervia ma, in realtà, esistente da sempre dentro di noi, poiché la felicità non consiste in una destinazione, ma è costituita dallo stesso viaggio che si compie per provare a cercarla.

Al di là, però, dell’encomiabile messaggio che porta con sé, a cui corrisponde uno sguardo registico paritetico, scevro da ogni artificiosità, Lunana: il villaggio alla fine del mondo soffre della stessa, schematica essenzialità che lo sorregge: il ritratto di questo ‘luogo dell’anima’, puro e cristallino, ha infatti bisogno delle plateali, reiterate ritrosie del protagonista (il cui isolamento esterno è garantito per tutta la salita in quota dalle cuffie perennemente appoggiate alle orecchie) per poter tramutarne lo sconforto iniziale in pace interiore. Così come l’obiettivo del giovane di ottenere il visto per andarsene dal Paese e la sua intenzione di abbandonare la scuola dopo l’estate devono essere programmaticamente neutralizzati dal “canto suadente allo yak” della dolce Saldon e dalla gentilezza adamantina degli altri abitanti di Lunana. Il limite di un plot che smussa ogni spigolo, mancando di tensione drammaturgica (e anche di un po’ di ‘magia’) e affidando al solo tratto descrittivo la funzione di raccordo empatico con lo spettatore, è proprio questo: i bambini sono tutti un po’ troppo simpatici e docili, gli adulti sono tutti un po’ troppo generosi e sorridenti. Anche se è davvero bello sentir dire che i maestri “toccano il futuro”, come afferma un piccolo alunno in classe, e apprendere, una volta di più, che il segreto della felicità risiede proprio nei piccoli gesti.

Regia: Pawo Choyning Dorji

Interpreti: Sherab Dorji, Ugyen Norbu Lhendup, Kelden Lhamo Gurung

Nazionalità: Bhutan, 2021

Durata: 110’

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.