Raphaël, un uomo con un occhio solo, è il custode di una villa in cui non vive più nessuno. Prossimo ai sessant’anni, vive con sua madre in una piccola casa situata all’ingresso del parco della maestosa dimora. Tra la caccia alle talpe, la pratica con la cornamusa e i giri occasionali nel furgone Kangoo della postina, i giorni si assomigliano tutti. Ma una notte tempestosa Garance, l’erede della tenuta, ritorna nella dimora di famiglia e niente sarà più come prima.
Variazione sul pattern de La bella e la bestia, L’uomo d’argilla è l’affascinante lungometraggio d’esordio di Anaïs Tellenne con il quale la sceneggiatrice/regista ha ottenuto importanti riconoscimenti (“premio del pubblico” nella sezione “Orizzonti Extra” a Venezia 2023, “miglior film” all’unanimità all’edizione 2025 del “My French Film Festival”). Proprio la celebre fiaba dalle innumerevoli versioni sembra infatti costituire il nucleo ispirativo dell’opera, dalla quale tuttavia la trentasettenne autrice parigina si emancipa presto, assemblando un testo stratificato nel quale la matrice fiabesca si innerva sagacemente nell’orizzonte contemporaneo permettendole così un’articolata riflessione sul Bello e sul suo canone, sul ruolo della Bellezza e sul suo ineluttabile rapporto con la mostruosità, sul gesto dell’artista, capace di trasformare ma di divenire atto egoistico, sul fuoricampo dell’opera d’arte e sui suoi inevitabili residui. Una riflessione formalizzata in un 4:3 particolarmente efficace e strutturata attraverso la descrizione di un incontro improbabile, quasi impossibile, tra due individui profondamente differenti, fisicamente e socialmente. Perché i due protagonisti appartengono a classi diverse per diritto di nascita (l’haute société Garance, ereditiera del castello dove si svolge l’azione, mentre Raphaël è di estrazione contadina), hanno corpi difformi, contrapposti per costituzione e per il modo in cui lo espongono (quello della donna deliberatamente, provocatoriamente in mostra, quello del custode alla costante ricerca di zone nascoste dove esprimersi, come il bosco con cui si apparta segretamente con l’amante postina o la piscina vuota nella quale si cala di notte per esercitarsi alla cornamusa), così come gli sguardi che li sostengono. D’altronde è proprio dalla collisione tra due sguardi opposti — quello dell’artista che trasforma, dando nuovo senso a ciò che si trova di fronte, e quello monoculare del guardiano, apparentemente privo di prospettiva e di tridimensionalità — che emerge il senso profondo de L’uomo d’argilla, perché dalla loro deflagrazione deriva l’afflato poetico di un’opera che vibra nel cortocircuito tra la carne e l’argilla, tra la pelle e la cartapesta, tra la sofferenza esibita (le lacrime “raccolte” da Garance) e il tormento occultato.
Un’opera d’esordio che colpisce per maturità stilistica e per la vis poetica di cui è intrisa, anche se il suo rilevante esito finale deve moltissimo all’apporto dei due protagonisti. Con menzione speciale a Raphaël Thiéry che, con una performance misurata e minimalista, dà letteralmente “corpo” a un personaggio difficile da dimenticare.
Titolo originale: L’homme d’argile
Regia Anaïs Tellenne
Con Raphaël Thiéry (Raphaël), Emmanuelle Devos (Garance), Mireille Pitot, Marie-Christine Orry, Francia 2023
Durata: 94’