Da una parte c’è Rabiye Kurnaz tedesca di Brema, origine turca, moglie, mamma di tre figli, alle prese con l’odissea di Murat, il figlio maggiore, accusato di terrorismo e imprigionato a Guantanamo. Dall’altra c’è So-young giovane madre in difficoltà che decide di consegnare il proprio bambino in una baby-box, una sorta di “oculo” che accoglie i neonati abbandonati, fenomeno in crescita nella Corea del Sud.

​Una è la protagonista di Una mamma contro G. W. Bush, film del tedesco Andrea Dresen, amante di un cinema che da sempre coniuga gli estremi, accosta effetti contrastanti per fare emergere affetti sorprendenti. Siamo nel 2001, a poche settimane dagli attentati dell’11 settembre: la signora Kurnaz inizia una lotta impari sostenuta dalla sua contagiosa umanità. L’unico intenzionato ad aiutarla e a crederle è l’avvocato per i diritti umani Bernhard Stocke, convinto che la sua storia possa aiutare a ricomporre il quadro della Storia di tutti. Il suo caso arriverà fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti e dopo un’attesa lunga anni, finalmente preso in considerazione. Rabiye è straripante, ha una forza d’animo impressionante, il suo entusiasmo è contagioso, la sua carica emotivo-comica sorregge l’intero film costruito sul canovaccio dei justice movie in cui la protagonista si scaglia contro il sistema in nome di una verità più grande e irrinunciabile.

​L’altra è la protagonista di Le buone stelle – Broker di Kore-eda Hirokazu, film di nascite e rinascite, buoni sentimenti e legami famigliari fuori dagli schemi dove l’ordine morale è da ricostruire. Un atipico road movie che incontra il dramma sociale e la commedia dove il bambino viene rubato da una coppia di broker per il mercato nero, ma i broker sono buoni e infatti hanno una coscienza che deve fare i conti con la realtà. Lei è una delle anime perse in cerca di salvezza di cui si nutre il film e, come si percepisce nei primi minuti, viene bagnata da una pioggia torrenziale, un’acqua viva che sembra voglia purificarla offrendole nuove opportunità. L’acqua è un elemento ricorrente in questo film di seconde e terze occasioni, che crede nella vita e nella potenza delle relazioni e interpella lo spettatore su cosa sia giusto e ingiusto.

Due film che restituiscono l’immagine di due sofferenze diverse avvicinate dal comune sentimento di trovare un equilibrio tra l’essere protagonista e l’essere responsabile, mosse entrambe dalla convinzione che la vita di ciascuno possa essere la differenza, il cambiamento. Due film in cui il figlio è prima di tutto una benedizione, e soltanto poi un compito: oggetto della loro ricerca e nel contempo colui che la suscita e la guida.

È guardando le vicende di Rabiye e So-young che risuonano le parole del Cantico di Mosé: Come aquila che veglia la sua nidiata che vola sopra i suoi nati egli spiegò le sue ali e lo prese lo sollevò sulle sue ali. Due madri che donano amore e cercano amore incarnando quell’idea così semplice e così forte che trova nei piccoli gesti di cura la strategia per guardare la realtà in un altro modo, magari senza cambiarla, ma accogliendola con occhi diversi.

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Sull'autore

Matteo Mazza