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MAIGRET (Patrice Leconte)
Depardieu nel più crepuscolare dei Simenon

Il commissario Maigret è alle prese con il cruento omicidio di una giovane donna dopo che questa è fuggita da una festa nella Parigi di metà anni ’50. Imbattendosi in una ragazza dalle caratteristiche più o meno simili a lei, decide di farsi da lei accompagnare in un viaggio complesso dentro alle ingiustizie sociali ma anche a un proprio doloroso vissuto personale.

“Per adattare con successo un libro che ami, devi leggerlo più volte, poi chiuderlo e non riaprirlo mai più”.  Era il suggerimento che Jean-Claude Carriere aveva dato al giovane Patrice Leconte, ancora studente. Una lezione culturale e metodologica che è riemersa nella sua memoria nel momento in cui ha deciso di adattare per il grande schermo Maigret e la giovane morta (ed italiana 1958 dell’originale francese Maigret et la jeune morte, 1954) di George Simenon. Uno dei titoli più crepuscolari nella serie dei romanzi incentrati sulla figura dell’iconico commissario, per incarnare il quale è stato scelto l’altrettanto iconico Gérard Depardieu, corpo semanticamente espanso “di per sé”, che si sovrappone – senza oscurarlo – a quello del personaggio letterario.  Procedendo nell’indagine della giovane sconosciuta misteriosamente assassinata, il commissario è accompagnato in un viaggio introspettivo sul proprio passato che Leconte ha il pregio di non disvelare mai con chiarezza, lasciando allo spettatore di cogliere il drammatico sottotesto, a prescindere che abbia o meno letto il romanzo che sta alla base di questo adattamento. Una rilettura cinematografica che, piuttosto stranamente, è la prima di questo testo lasciato in sordina nonostante la sua potenza evocativa psicologica e contestuale, che ben si presta alla traduzione visiva, come lo stesso regista parigino ebbe modo di dichiarare rispetto a la jeune morte.  Classicamente ascritto alla tradizione narrativa del polar, e in particolare delle filmografie incentrate su Maigret, il film si avvale di uno sguardo “contemporaneo” capace di decostruire il genere sottraendovi ogni ridondanza in termini di dialoghi per privilegiare gli aspetti ambientali, parte integrante di uno Zeitgeist post war parigino, livido, ferito e feroce, dove ancora emergono le cesure sociali fra classi privilegiate ed emarginate. Complessivamente Maigret di Patrice Leconte si presenta come un lavoro di indubbio interesse come rilettura sia del genre cinematografico, sia di un racconto letterario più intimamente moderno di quanto non dichiari la propria data di scrittura e pubblicazione.

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Sull'autore

Anna Maria Pasetti

Anna Maria Pasetti Milanese, saggista, film programmer e critica cinematografica, collabora con Il Fatto Quotidiano e altre testate. Laureata in lingue con tesi in Semiotica del cinema all’Università Cattolica ha conseguito un MA in Film Studies al Birkbeck College (University of London). Dal 2013 al 2015 ha selezionato per la Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Si occupa in particolare di “sguardi al femminile” e di cinema & cultura britannici per cui ha fondato l'associazione culturale Red Shoes. . Ha vinto il Premio Claudio G. Fava come Miglior Critico Cinematografico su quotidiani del 2020 nell’ambito del Festival Adelio Ferrero Cinema e Critica di Alessandria.