Anna Frank e il diario segreto non è soltanto un film “che va bene per le scuole”, espressione intesa nella peggiore delle accezioni che spesso coincide con un ridimensionamento e impoverimento dell’esperienza di incontro con il cinema. Cioè, non è soltanto un film con la pretesa di raccontare cose “importanti” e in modo molto ordinato, quindi facilmente comprensibile, e di esplicitare “tematiche” riconoscibili, con un punto di vista morale inequivocabile. È un film con una sua complessità (di struttura e di stile) pur essendo indirizzato a un pubblico giovanile, idealmente compreso tra i dieci e dodici anni. 

Tratto da una loro graphic novel edita da Einaudi, quello di Ari Folman e Lena Guberman è un film d’animazione attento a rispettare fedelmente la Storia di Anna Frank e del suo diario e, al contempo, facendo leva sul valore dell’immaginazione, interessato a ribaltare il punto di osservazione su questa icona della memoria attraverso lo sguardo di Kitty, personaggio frutto dell’immaginazione anarchica di Anna che, nel corso della narrazione, progressivamente diventa sempre più vivo e reale.

Se da una parte il film si offre come valida opportunità per tornare a parlare di Anna Frank, dall’altra, in modo ancora più marcato, si offre per una ricognizione del concetto di identità individuale e collettiva portando lo spettatore ad affrontare questioni urgenti che riflettono tensioni odierne semplificandole sì, ma senza scadere nel banale. Cosa è rimasto della testimonianza di Anna Frank? Quale verità risuona dalle sue parole? Quale lezione si può apprendere e mettere in pratica dalla lettura del suo diario? Ma, soprattutto, cosa significa diventare sé stessi? Il percorso di trasformazione della protagonista si manifesta come autentico viaggio interiore che la condurrà ad assumere le sembianze di una ragazza dei giorni nostri abbandonando la precarietà offertale dalla condizione di spirito della memoria che abita la casa di Anna e osserva tutti senza alcuna possibilità di interazione. È quindi un viaggio alla scoperta dei sentimenti che la animano, un progressivo incontro con la capacità di amare, il che significa anche con la capacità di soffrire. In modo decisamente meno illustrativo e didascalico di quanto ci si possa aspettare, quindi, Anna Frank e il diario segreto è un film che s’interroga sugli affetti, che porta lo spettatore di fronte alla crescita umano-spirituale di Kitty che raggiunge il suo fine nella capacità di amare. Per giungere a questo fine è essenziale la fiducia, matrice della vita e forza che consente alle persone di non farsi vincere dalla paura, anzi dalle tante paure. Questo è un film che ricorda a tutti come credere, sperare, amare, sognare alla forma attiva traducano il tempo che l’adolescenza occupa nella vita di ciascuno: momento decisivo in cui ci si scopre pronti ad andare verso qualcosa o qualcuno, per essere accolti dall’altro come donatori di alterità. Al contrario, alla forma passiva, questi verbi guardano l’adolescenza come quel luogo da abitare ma oltrepassare, con le proprie trasformazioni e i propri limiti: tappa geografica del crescere, in cui si attende che qualcosa o qualcuno venga incontro, per accogliere l’altro come portatore di alterità.

Nel diventare una donna di passione, che conosce la passione e la sofferenza dell’amore, che si confronta con il peso delle proprie scelte, che comprende il valore di una promessa, Kitty fa i conti con il proprio passato senza restarne ostaggio, aderisce al presente senza fughe, si proietta nel futuro senza evasioni. Mica poco.

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Sull'autore

Matteo Mazza