Un’affluenza larga e partecipata, da parte di pubblico e addetti ai lavori, a conferma della forza attrattiva di ogni appuntamento festivaliero di rilievo. Uno sguardo complessivo inquieto e incerto, sul fronte dei contenuti, figlio di una crisi planetaria ormai conclamata, su vari fronti, ma allo stesso tempo propositivo e tenace. Un Leone d’oro politico e molto americano, che, per quanto inatteso, si è rivelato nitido riflesso di questo instabile orientamento generale.
Potremmo riassumerla così, la 79ª Mostra di Venezia, che non ha brillato, sul versante degli esiti artistici, come lo scorso anno, ma che comunque, a sipario calato, ha lasciato tracce significative sul terreno. La vittoria al Lido di All the Beauty and the Bloodshed, il documentario di Laura Poitras incentrato sulla militanza civile della fotografa Nan Goldin e, nel contempo, sulla cultura underground newyorkese dei primi anni ’80, ha innescato la riflessione sulla ricerca identitaria e il senso di sé, il fil rouge di Venezia 2022 insieme all’impegno sociale e politico, all’indagine famigliare e al bisogno di riconciliazione affettiva. Anche il Gran premio della giuria, assegnato a Saint Omer della francese di origine senegalese Alice Diop, e il Premio per la migliore regia, attribuito a Bones and All di Luca Guadagnino, si muovono su analoghi, precari movimenti interiori, provocati da dubbi laceranti sulla propria condizione e sulle relazioni con gli altri.
Oltre al concorso principale, l’analisi complessiva della rassegna veneziana (riassunta, come sempre, dal numero di Filmcronache che state per leggere), ha offerto simili corrispondenze anche nelle altre sezioni della Mostra. Se in Orizzonti, infatti, come riferisce Simone Agnetti, la tendenza è stata quella di “molte storie vere o ispirate a criticità sociali e politiche dei nostri giorni”, nei Fuori concorso, come scrive Alessandro Cinquegrani, la messa in crisi di “regole e discipline”, ma pure i ragionamenti su “libero arbitrio e controllo dall’altro”, hanno sollevato irrinunciabili domande di senso. Una Settimana della critica, inoltre, “poco coraggiosa, ma con due notevoli eccezioni”, riporta Giuseppe Gariazzo, mentre, le Giornate degli autori, come registra Francesco Crispino, hanno restituito “la complessità di un mondo in profonda trasformazione, alla disperata ricerca di un diverso sistema etico e relazionale”.
In fondo, tutto come da copione. Basta rileggere l’intervento critico del direttore Alberto Barbera, a presentazione della manifestazione: una Mostra che “non ambisce a essere ecumenica e tranquillizzante”, bensì “interrogatoria e discutibile”. Buona lettura.
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