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MEMORY BOX (Joana Hadjithomas e Khalil Joreige)
Il “fuori campo” della memoria

Montréal. Il giorno di Natale Maia e la figlia Alex ricevono un misterioso pacco proveniente da Beirut. Contiene quaderni, cassette e fotografie, un’intera corrispondenza che Maia, dai 13 ai 18 anni, ha spedito da Beirut alla sua migliore amica Liza, rifugiatasi a Parigi per fuggire dalla guerra civile. Maia rifiuta di affrontare quel passato, ma Alex vi si immerge di nascosto. Scopre così, tra fantasmi e realtà, l’adolescenza tumultuosa e appassionata della madre durante gli anni Ottanta e i suoi segreti ben custoditi…

Ultimo lavoro, dopo una serie di appezzati lungometraggi di finzione e di documentari, della coppia libanese formata da Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, Memory Box attinge effettivamente da un’ampia “scatola dei ricordi” proveniente dal passato della regista, nata a Beirut nel 1969, spedita alla più cara amica d’infanzia emigrata in Francia durante la guerra civile, scoppiata nel Paese dei cedri nel 1982, e riconsegnata al mittente, venticinque anni più tardi, dopo l’incontro con l’amica di allora. Una “corrispondenza della memoria” per una corrispondenza anagrafica: la stessa età (13 anni) della madre, all’epoca della registrazione di audiocassette e compilazione di diari, e della figlia, al momento della restituzione del voluminoso pacco alla sua autrice originaria.

Il dato autobiografico (familiare, storico e geografico) costituisce dunque la stessa matrice narrativa di Memory Box, in cui la condivisione della gioventù accomuna, avanti e indietro nel tempo, due orizzonti esistenziali femminili, colti nel medesimo passaggio adolescenziale. Inoltre, i reali archivi sonori e visivi della Hadjithomas, mescolati ad altri analoghi elementi disposti nel tessuto diegetico, ma del tutto immaginari, spingono Memory Box al confine tra finzione e realtà facendone un interessante prodotto ibrido. Questa seducente altalena tra il falso e il vero, però, viene opacizzata da una contestualizzazione forzata (la tempesta di neve che imperversa senza sosta su Montréal, la consegna del pacco proprio il giorno di Natale) e da un procedere del racconto che, di sequenza in sequenza, appanna le suggestioni dell’immaginazione nel momento stesso in cui le materializza in azioni concrete: quando il “fuori campo” della memoria si traduce, per Alex e per lo spettatore, nei flashback della vita giovanile di Maia, la dimensione evocativa del pensiero si fa più evanescente, sullo schermo, e il mistero dell’assenza non riesce a trasformarsi nel fascino della presenza.

Anche la riflessione sullo status delle immagini e sul valore degli strumenti di comunicazione, che non poco peso ha nell’architettura del film, resta come intrappolata nelle vicende stesse: il confronto tra i quaderni, le cassette, le fotografie di Maia, da una parte, con le loro evidenti ‘imprecisioni analogiche’, e, dall’altra, le reti sociali di cui fa continuo uso Alex, con le loro presunte garanzie di ‘esaustività digitale’, non arrivano, come invece dovrebbero, a mettere seriamente in discussione il rapporto tra pubblico e privato. Sfiorando soltanto, senza svilupparla, la complessa dinamica che regola le relazioni tra il ‘corpo’ sociale e il ‘corpo’ intimo.

MEMORY BOX
Regia: Joana Hadjithomas e Khalil Joreige
Interpreti: Rim Turkhi, Manal Issa, Paloma Vauthier, Clémence Sabbagh
Francia, Libano, Canada, 2021
Durata: 102’

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.