Nina è una ragazza-madre che si trasferisce in un piccolo paese della Lombardia per ricominciare la propria vita. Grazie all’intercessione di don Roberto riesce a trovare un lavoro temporaneo in una residenza per anziani facoltosi. Qui però viene molestata dal dirigente della struttura, alle laide avances del quale riesce comunque a sfuggire. Dopo lo choc iniziale Nina decide di denunciarlo, ma per intraprendere la lunga battaglia legale è costretta a scontrarsi con un muro di omertà e un mondo d’ipocrisia.
Un tema di estrema attualità ma un modo di metterlo in scena con modalità drammaturgiche e stilemi da fiction televisiva generalista pre-Pay TV: si potrebbe riassumere in questa formula il ritorno in sala di Marco Tullio Giordana, uno degli autori italiani che si erano maggiormente messi in mostra nel decennio passato (I cento passi, La meglio gioventù). A vedere Nome di donna infatti, sembra che i sei anni trascorsi dal suo ultimo lavoro per il grande schermo (Romanzo di una strage è del 2012) – anni nei quali il regista milanese ha realizzato due film per RAI-Fiction (Lea, 2014 e Due soldati, 2017) – abbiano accentuato le caratteristiche di uno stile riconoscibile quanto contraddittorio. Da sempre animato da passione e coscienza civile, ma anche contraddistinto da un finalismo didascalico che, quando ha preso il sopravvento sulla narrazione, ha finito per inficiarne gli esiti.
Nome di donna è in tal senso un film emblematico, perché ancora una volta esprime l’idea di un cinema d’intervento civile (cui va il grande merito d’aver intercettato prima di altri un argomento quantomai attuale), ma anche i limiti dell’ideologia di cui esso si fa portatore e dalla quale non riesce a emanciparsi. Lo sguardo insomma è subordinato al racconto e i personaggi rimangono sempre tali, mere funzioni di un racconto lineare e sostanzialmente prevedibile. Al punto che nemmeno le pur significative interpretazioni di Valerio Binasco e Bebo Storti – come spesso succede nel cinema di Giordana, sono proprio i personaggi maschili a rimanere più impressi di quelli femminili – riescono a dar loro quella tridimensionalità di cui avrebbero bisogno.
NOME DI DONNA
Regia Marco Tullio Giordana
Con Cristiana Capotondi (Nina), Valerio Binasco (Marco Maria Torri), Bebo Storti (don Roberto Ferrari)
Italia 2018
Durata 90’