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ORLANDO (Daniele Vicari)
Due solitudini in una fiaba moderna

Orlando è un anziano contadino che vive solo in un paese di montagna della Sabina, in centro Italia, e che non ha mai voluto abbandonare la sua terra, come invece ha fatto suo figlio, che se ne è andato vent’anni fa a Bruxelles. Una telefonata proprio dal Belgio lo avverte, un giorno, che Valerio ha bisogno d’aiuto: è ricoverato in ospedale e così, per la prima volta, Orlando è costretto a mettersi in viaggio. Scoprirà di avere una nipotina di 12 anni, Lyse. E lui, simbolo di un passato che non vuole passare, sarà costretto a vivere nel presente immaginando suo malgrado un futuro…

Una favola antica ambientata nella contemporaneità. Dove un vecchio e una bambina, divisi da tutto e su tutto, incontrandosi arrivano a mutare la traiettoria delle proprie rispettive vite, facendole coincidere. Film sulla tradizione e sulla modernità, sulle impermeabilità delle origini rurali e sulle contaminazioni della dimensione metropolitana, sulle separazioni dolorose e sui riavvicinamenti forzati, sulla morte e, dunque, sulla vita, Orlando è un’opera semplice ma preziosa, illuminata dalla presenza, nel ruolo del protagonista, di un Michele Placido davvero intenso e magnetico.

Il suo contadino rietino, burbero, ruvido, ostinato come un mulo, riempie il lungometraggio di Daniele Vicari di asprezze, inadeguatezze, fragilità: i suoi sguardi persi nel vuoto o fissi a terra trasudano spaesamento e malinconia, fatiche e incomprensioni: una lontananza abissale che lo separa dalla gioventù rumorosa della bionda nipotina (più a suo agio in una pista di pattinaggio che tra i banchi di scuola), ma allo stesso tempo uno ‘spazio esistenziale’ nel quale farsi destabilizzare nei propri, rigidi canoni, in quella quotidianità ‘rinsecchita’ tra galline da nutrire e terreno da zappare.

È questa senilità muta ma, a suo modo, estremamente comunicativa a sorreggere un film che, pur dichiarando apertamente la sua matrice fiabesca, non rischia molto sul piano del racconto, restando ancorato a schemi consueti, a una linearità programmatica non sempre pienamente efficace. Eppure, nei primi piani grandangolari con cui la macchina da presa inquadra il volto stanco di Orlando, una sigaretta senza filtro perennemente accesa tra le labbra, la calda sensazione di prossimità viene sovrapposta e raddoppiata da una fredda percezione di distacco. Un abbandono intimo, sotterraneo, segreto che nell’espressività di Placido, trattenuta eppure esplosiva, trova un immediato contatto empatico con lo spettatore. Orlando, in fondo, è la storia di due solitudini e di una (presunta) inconciliabilità: anagrafica, linguistica, caratteriale. Distanze che, però, la ricchezza dell’animo umano, e non la semplice padronanza di una lingua, può provare tenacemente a colmare.

Regia: Daniele Vicari

Interpreti: Michele Placido, Angelica Kazankova, Fabrizio Rongione, Federico Pacifici, Mpunga Denis

Nazionalità: Italia, Belgio 2022

Durata: 122’

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.