Un film tira l’altro. Come le ciliegie. È quello che ho pensato guardando il bel Anna Frank e il diario segreto in una sala piena di ragazzi e ragazze di ogni grado ed età in occasione della giornata della memoria. Finita la proiezione, sotto scroscianti applausi, si pensa che gran parte dei presenti non torneranno molto presto in sala. La proiezione scolastica è infatti un momento speciale, che non si replica spesso in famiglia.

Il compito dell’animatore di sala è anche far sì che l’entusiasmo sia contagiante, magari verso i genitori, creando quindi rapporti di continuità tra le opere. Perché la rilettura della tragica storia fatta da Ari Folman nel film di animazione va ben oltre la rievocazione nostalgica. La protagonista, a sorpresa, è Kitty, il personaggio di finzione immaginato nel diario. Vaga alla ricerca della sua autrice in un Amsterdam che la vede ovunque: nelle case, nelle strade, nei ponti. Però lei è lontana dal cuore. Nello specifico: il suo messaggio è stato dimenticato da una società ordinata e progressista a parole, che però volta le spalle agli ultimi. Le persone “scomode”, ovvero i molti migranti che, isolati, senza una casa né una prospettiva, sono costretti a vivere nell’ombra. Il senso del film (vi rimandiamo qui per un ulteriore approfondimento) è che se non vediamo i vinti e i perseguitati oggi, le lezioni della Storia saranno solo vuote parole.

Così, vedendo i piccoli personaggi animati costretti a lottare per un documento che gli permetta di vivere, viene in mente Tori e Lokita, il nuovo film di denuncia empatia dei fratelli Dardenne. Qui vestiamo i panni di due fratelli, non di sangue, che si sono scelti per sopravvivere. Vivono alla giornata in Belgio. Hanno bisogno di soldi. Gli unici che gli prospettano una soluzione per sopravvivere sono gli aguzzini della criminalità organizzata. Tori e Lokita saranno inseguiti dalla “giustizia”, costretti a nascondersi, triturati da un’indifferenza e da un sistema di accoglienza fallato. Soffocati da una vita che non hanno scelto. Gli scomparsi che Anna Frank ci invita a vedere.

Seguiamo quello che ci dice Ari Folman e buttiamo lo sguardo ancora più in là: Nezouh – Il buco nel cielo. Siamo in Siria, a Damasco, vicini a una famiglia cui dei bombardamenti hanno sfondato il tetto. Il dilemma è chiaro: restare o fuggire? La regista Soudade Kaadan ci dipinge un vero e proprio paesaggio dell’anima. Un purgatorio di macerie e ossature di case smembrate. Vicini che si guardano, si invidiano, e ragazzi che si conoscono e si vogliono bene. Il giovane Amer si presenta alla sua amica Zeina con una cinepresa. Serve per ricordare e per far spere al mondo cosa sta succedendo, dice. Ci ricorda, tristemente, il diario scritto da Anna Frank tra il 1942 e il 1944 in un’altra casa, anch’essa sotto le bombe.

Un film illumina di ulteriore valore altri film. I registi si parlano a distanza. Non importa l’età del pubblico a cui si rivolgono. A noi spettatori, o a noi lettori, spetta il compito fondamentale di far risuonare queste immagini e queste parole nel presente. Che cos’è la cinepresa, in fondo, se non il più grande strumento per ricordare?

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Sull'autore

Gabriele Lingiardi