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RIGET EXODUS
Von Trier, l’horror e il grottesco

A venticinque anni di distanza dal secondo capitolo, Lars von Trier completa la trilogia di Riget (The Kingdom), la serie tv avviata felicemente nel 1994. Il terzo e ultimo segmento, cinque puntate per una durata complessiva di cinque ore, riprende e rilancia temi e atmosfere di allora, gli stessi personaggi (o i loro ‘eredi’ diretti) e analoghe relazioni, richiamando però con decisione il più recente fronte narrativo cinematografico di von Trier, ispirato alla riflessione metafisica e alla rappresentazione in immagini della lotta eterna, nell’uomo, tra bene e male.

A risvegliare gli spiriti minacciosi che popolano l’ospedale di Copenaghen, costruito su una palude, dove tra corsie, sale operatorie e sotterranei è ambientata la serie, stavolta è la sonnambula Karen, dotata di poteri telecinetici, aiutata da un portantino e da un’infermiera ‘recuperata’ dal passato. Ma l’architettura interna di Riget (fedele a se stesso fin dalla splendida, originaria sigla d’apertura) resta fondata anche in Exodus, con astuta consapevolezza, sull’alternanza di premonizioni e squarci horror e spassose immersioni nel grottesco, a cui si aggiungono sprazzi di sapida autoironia (i riferimenti, in alcuni dialoghi, proprio alle due stagioni precedenti della serie e i giudizi caustici pronunciati, in altre battute, sullo stesso regista danese). Il ritmo sincopato del racconto, l’incosciente disincanto dei camici bianchi, le caratterizzazioni pungenti di ogni personaggio, anche il più marginale, il sarcasmo sparso a pioggia, la perfetta gestione dei tempi comici e dei meccanismi della suspence rimangono dunque, anche qui, i cardini della narrazione vontrieriana.

Impossibile riassumere i tanti microintrecci di un patchwork a tratti esilarante, nel quale la figura del primario svedese Helmer junior (figlio dell’orgoglioso medico che tanto peso aveva avuto nei primi due episodi) riassume comunque una posizione centrale. Tra gufi malefici, Signori delle mosche, molestie in reparto (e relative cause legali, con l’avvocato di entrambe le parti in contenzioso che riceve i suoi due clienti in toilette), riunioni golpiste dell’Anonima svedese, barattoli contenenti spiriti addomesticati, persino una danza macabra sul tetto dell’ospedale, prelevata direttamente da Il settimo sigillo, l’opera proteiforme di von Trier arriva a destinazione divertendo e inquietando allo stesso tempo.

Per chi ama il regista di Dogville, una piacevolissima conferma. Per tutti gli altri, una ghiotta occasione per imparare a conoscerlo. Sperando che il Parkinson che l’ha colpito lo scorso luglio gli consenta ancora di dedicarsi a tanti progetti futuri.

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.