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ROBINÙ (Michele Santoro)
Adolescenza criminale

Robinù

A Napoli negli ultimi due anni bande di adolescenti combattono una guerra a colpi di kalashnikov, che è arrivata a contare oltre 60 morti. È la “paranza dei bambini”: giovani ribelli che sono riusciti a imporre una nuova legge di camorra per il controllo del mercato della droga. Una paranza che da Forcella si insinua nei Decumani, e scende giù fino ai Tribunali e a Porta Capuana: il ventre molle di Napoli, la periferia nel centro, tra turisti che di giorno riempiono le strade e gente che di notte si rintana nei bassi trasformati in nuove piazze di spaccio, il vero carburante capace di far girare a mille il motore della mattanza.

 

Sono già alcuni anni che le strade di Michele Santoro e Roberto Saviano hanno avuto modo d’intrecciarsi. Per via delle loro origini (il primo è di Salerno, il secondo di Napoli) e delle conseguenti aree d’interesse, ma anche per un simile approccio alla materia che ha nel giornalismo d’inchiesta il proprio comune denominatore. Mai però erano arrivate a specchiarsi in maniera così evidente come avviene nella loro recente produzione, in quanto sia l’ultimo romanzo dell’autore di Gomorra (La paranza dei bambini) che Robinù, primo lungometraggio firmato dall’anchor-man televisivo, prendono spunto dalla stessa vicenda. Una vicenda esplorata con modalità differenti (la finzione letteraria e il reportage di matrice televisiva) ma trattata con la medesima urgenza.

Seppur già precedentemente portato alla luce (Baby-gang di Salvatore Piscicelli, 1992), il fenomeno indagato dalle due opere sembra infatti presentare caratteristiche nuove oltre a essere connotato da una brutalità assolutamente inedita. Una brutalità perversa che in Robinù emerge dalle frasi di Mariano e Michelino, i giovanissimi babyboss intervistati all’interno dei carceri in cui si trovano a dover scontare molti più anni di quelli che hanno vissuto. Nei loro sguardi pronti ad accendersi solo quando parlano di Potere, pronti a illuminarsi solo quando ne evocano l’intimo rapporto con le armi («’O Kalash è ‘a cosa cchiù bbella») s’intravede la Dark Zone di una società in cui il sistema valoriale è profondamente mutato. E con il quale il film di Santoro ci costringe drammaticamente a confrontarci.

 

Regia: Michele Santoro

Con: Mariano A., Michele M. (“Michelino”)

durata: 91′

Italia, 2016

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Sull'autore

Francesco Crispino

Francesco Crispino è docente di cinema, film-maker e scrittore. Tra le sue opere i documentari Linee d'ombra (2007) e Quadri espansi (2013), il saggio Alle origini di Gomorra (2010) e il romanzo La peggio gioventù (2016).