C’è decisamente molto di autobiografico nell’ultimo film di Ferzan Ozpetek: Rosso Istanbul (Italia, 2017) ci riporta nella capitale del Bosforo in un viaggio enigmatico in cui tutti i personaggi appaiono di spalle e la realtà sempre e solo di riflesso. L’atmosfera è come sospesa, nell’attesa di qualcosa di indefinito. Anche lo spettatore è così rapito dal progressivo rivelarsi delle sofferenze del passato, che non riesce quasi più a vedere e a capire il presente della narrazione.
Ohran Sahin è un editore di origine turche che da molto tempo vive e lavora a Londra. Torna a Istanbul per aiutare il regista Deniz Soysal a completare il suo romanzo: la storia della sua vita, del suo successo, dei sui suoi sofferti rapporti familiari e dei suoi ancor più complessi rapporti affettivi. Poco alla volta le vite di questi due uomini, diversissimi tra loro, ma accomunati dalla stessa nostalgia e da ferite emotive profonde, sembrano intrecciarsi fino a identificarsi o scomparire l’una nell’altra.
Rosso Istanbul del resto è tratto dall’omonimo romanzo dello stesso Ozpetek, dunque in questo caso scrittore e regista, ruoli che nel film vengono sdoppiati in due personaggi diversi. E come afferma Deniz fin dall’inizio della vicenda: “Attraverso i suoi personaggi il regista non parla in fondo che di sé stesso?”. Senza dichiararlo, Ozpetek ci parla di sé stesso in un raffinato e continuo gioco di specchi. Un film da vedere, certamente, e da ascoltare, perché ai dialoghi pacati, quasi sussurrati, fanno eco tutti i rumori di una metropoli viva, in cambiamento, attraversata da sempre nuovi conflitti.