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SARAH E SALEEM. LA’ DOVE NULLA E’ POSSIBILE
Una storia vera nella Gerusalemme divisa

Nella Gerusalemme contemporanea una donna ebrea e un uomo arabo intrattengono una relazione extraconiugale. Sarah, sposata con un colonnello dell’esercito israeliano, è proprietaria di un piccolo bar dove Saleem, a sua volta coniugato con una giovane studentessa da cui aspetta un figlio, consegna regolarmente i prodotti di pasticceria essendo il fattorino di un forno. I loro incontri segreti avvengono solitamente nel furgone di lui, nottetempo, in luoghi isolati. E’ sufficiente tuttavia uno strappo alla regola – Saleem porta con sé l’amante a una consegna a Betlemme – per suscitare i sospetti di alcuni palestinesi, specie alla luce di accordi fatti dall’uomo con il cognato (coinvolto nella resistenza palestinese) per fare alcuni lavoretti e guadagnare di più. L’effetto domino scatena un susseguirsi di eventi che toccano le ferite sempre aperte della questione israelo-palestinese.

Con 3 milioni di ebrei a disposizione eri così disperata da prenderti un arabo?”. Non si trattasse di Gerusalemme, la provocazione di Ronit alla sua amica Sarah sarebbe totalmente fuori luogo. Ma in quel territorio benedetto da Dio nelle Scritture e maledetto dagli uomini nella Storia, la frase vibra di verità. Il tradimento del matrimonio viene in secondo piano quando in ballo ci sono i confini, l’esercito, i servizi segreti, una convivenza a dir poco tormentata. Ispirandosi a una storia vera, il palestinese Alayan trascrive in forma melodrammatica l’ennesimo paradosso per cui una faccenda privata diviene una sfida alla ragion di Stato, fenomeno così frequente in quella striscia di mondo in emergenza perenne. Su un testo esemplare (sceneggiato da Rami Alayan, premiato al Festival di Rotterdam), capace di penetrare le viscere delle psicologie dei protagonisti, il regista riesce a superare l’impasse del classico film di denuncia socio-politica, elevando il “caso” da particolare ad universale senza dimenticare i tormenti geopolitici ivi stanti. I quattro co-protagonisti – tutti splendidamente interpretati – restano paralizzati nella dicotomia “ragione (appunto, di Stato) e sentimento”, con la saggezza femminile in grado di trovare un’impossibile mediazione. La mescolanza di generi (non solo melò, ma anche lo spy e legal movie e naturalmente il dramma sociale) è perfettamente riuscita in un’opera che, a tratti, sembra lo spinoff versione arabo-israeliana di Una separazione di Farhadi.

Regia: Muayad Alayan

Cast: Adeeb Safadi, Silvane Kretchner, Massa Abd Elhadi, Ishai Golan

Palestina/Paesi Bassi/Messico/Germania 2019

Durata: 127′

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Sull'autore

Anna Maria Pasetti

Anna Maria Pasetti Milanese, saggista, film programmer e critica cinematografica, collabora con Il Fatto Quotidiano e altre testate. Laureata in lingue con tesi in Semiotica del cinema all’Università Cattolica ha conseguito un MA in Film Studies al Birkbeck College (University of London). Dal 2013 al 2015 ha selezionato per la Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Si occupa in particolare di “sguardi al femminile” e di cinema & cultura britannici per cui ha fondato l'associazione culturale Red Shoes. . Ha vinto il Premio Claudio G. Fava come Miglior Critico Cinematografico su quotidiani del 2020 nell’ambito del Festival Adelio Ferrero Cinema e Critica di Alessandria.