Piccoli film che illuminano la strada, che compiono percorsi insoliti e indipendenti, distanti dai grandi circuiti distributivi ma forti di quell’autenticità ed energia in grado di raggiungere il pubblico e permettergli di immergersi in un lungo viaggio ricco di sorprese, luoghi magici e verità inaspettate. Le ragazze non piangono film d’esordio di Andrea Zuliani è un vivace racconto di formazione in chiave road movie tanto interessato sul piano narrativo a intrecciare le vicende di Ele e Mia, apparentemente pianeti giovani di galassie differenti, quanto attento sul piano estetico a cercare un efficace equilibrio tra i generi: commedia, avventura, mistery, teen drama.

È evidente che nelle intenzioni di Zuliani ci sia l’ambizione di misurarsi con il coming of age ma, a differenza di molte produzioni nostrane, è altrettanto evidente la volontà di smarcarsi da soluzioni stereotipate, sradicando così il genere del romanzo di formazione dal solito contesto in cui questo tipo di storie si svolge.

 La protagonista vive in Basilicata dopo essersi trasferita con la madre in seguito alla morte del padre, lontana dalle proprie radici così come l’amica Mia, di origini rumene, incontrata un giorno a scuola. Quasi coetanee, una studia, l’altra lavora. In fermento, smaniose e innamorate della vita ma già consapevoli della fatica. Nel film di Zuliani si guarda agli elementi tipici del teen drama come la città, le relazioni tra amici, i primi amori, i conflitti a scuola e in famiglia, procedendo però per sottrazione, disinnescando di fatto ogni tipo di attesa, ribaltando l’ordine delle regole. E il risultato è decisamente convincente se si pensa alla scelta di prendere la protagonista Ele, scaraventarla sulla strada alla guida di un camper che ha il doppio della sua età e di costringerla a viaggiare insieme a Mia: due anime in ricerca, due sguardi profondi in fuga, due soggetti umani inqueti, entrambe rapite dal desiderio di libertà e felicità che innerva la vita di ciascuno e che, forse, ciascuno teme. Il film prova a seguirle, passo dopo passo, in questo viaggio esistenziale verso Nord, attraversando l’Italia e i suoi meravigliosi luoghi di confine, prima con fare realistico, poi con interesse sempre più rivolto al viaggio interiore che le due ragazze affrontano. Un po’ Thelma e Louise, un po’ Into the wild, il film mette in scena un percorso permeato dall’avvicinamento sempre più forte ad elementi naturali e animali: il vagare tra i boschi, dormire in una radura incantata e gli incontri con un cane, poi una volpe, infine un cavallo sono tasselli di un viaggio che da fisico si fa via via più interiore. Una dimensione verticale che coniuga il basso con l’alto, tipica della ricerca spirituale, affianca la più canonica tradizione dei film di viaggio connotati dall’esplicita dimensione orizzontale, di chi si sposta da un luogo ad un altro e comprende che la meta è il cammino, l’esperienza, il sentire. Boschi, ai piedi di una diga, in un’acqua park abbandonato, immersi nel lago di un’oasi protetta, al cospetto delle Dolomiti: dai piccoli centri lucani alle distese di campi intorno Salerno, dagli scorci naturalistici di Bomarzo e Ronciglione fino all’altopiano della Paganella nel cuore del Trentino. Attraversare, crescere, trasformarsi.

Accanto a queste considerazioni, Le ragazze non piangono è anche un viaggio di rivelazioni perché le terre esplorate non sono solo quelle geografiche ma anche quelle del passato di Mia ed Ele, quelle dove abitano i loro fantasmi e i loro desideri, la loro identità. Come dichiarato dallo stesso regista: «Nel raccontare l’incontro tra queste due ragazze, ci siamo quindi ritrovati dentro una storia sulla consapevolezza di sé e sulla scoperta del mondo adulto. Il film è anche questo: il rendermi conto, in prima persona, del mondo che c’è là fuori. Della varietà di paesaggi ed esseri umani di cui è costellato il nostro paese. Ed è proprio quello che vorrei provare a restituire con questo film: la tensione e lo stupore verso ciò che ancora non si conosce e l’arricchimento interiore che questa scoperta può portare».

Un film che abbraccia la materialità del viaggio per coniugarla al suo senso profondo in cui si prova di continuo a lavorare sulle percezioni e provare a renderle tangibili, tanto per i personaggi quanto per gli spettatori. C’è una trasformazione in atto, tanto nelle protagoniste quanto nello spettatore. Come alla fine di un intenso viaggio. Ritornare in sé stessi per raggiungere la propria fragile e commovente umanità.

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Sull'autore

Matteo Mazza