Primo piano MINDSCAPES - i paesaggi dell'anima Venezia 80

L’ORDINE DEL TEMPO (Liliana Cavani)
Un'opera corale per la trasposizione su grande schermo del saggio del fisico Rovelli

Essere nel tempo, prima di tutto lei: Liliana Cavani 90 anni, Leone d’Oro alla Carriera a Venezia 80. Ci sentiamo convocati dalla sua chiamata da cineasta letterata, appassionata di fisica, a interrogarci con il suo L’ordine del tempo, ispirato all’omonimo saggio divulgativo del fisico Carlo Rovelli. E forse arrivano più risposte che domande sulle “cose ultime” da un’opera corale naif che punta tutto su dialoghi bulimici affidati ad un cast non sempre cosi partecipe dell’ansia del plot. È arrivata la fine? Ci estingueremo come i dinosauri? Ho fatto tutto quello che dovevo? I personaggi di Cavani sembrano essere come quelli che Rovelli nel suo libro definisce “di pianura”. Anche se di poco, rispetto a quelli di montagna, hanno vissuto meno, hanno avuto meno tempo, sono invecchiati meno. Sono adulti liquidi, “gassosi” diremmo post Bauman, senza spina dorsale. Si lamentano del tempo, vagheggiano sul kronos e sinonimi ma non ci fanno mai toccare le loro ferite più profonde. Le proclamano ma senza sentirle. Sfiorati dal pietrone dello spazio, come lo chiamano loro, e, aggiungiamo noi, soltanto sfiorati anche dall’amore. Eppure ne parlano continuamente, senza che questi sentimenti arrivino mai al corpo, alle emozioni. Si ragiona senza nessuna forma di erotismo, erosi da un tempo che non ha creato orizzonti, ideali, fedi. Di fronte alla fine tutto è improrogabile ma senza nessuna urgenza che ecceda se stessi, incapaci di disperarsi davvero di fronte al termine ultimo o di rallegrarsi dopo la mancata estinzione. Solo una suora della Specola Vaticana sembra avere un suo spazio solido nel tempo. La si visita come si interrogava suor Maria ne La grande bellezza di Sorrentino. Queste suore sono sempre più sole sulla scena, sole ma abitate.
Allora di fronte a un film come L’ordine del tempo, si fatica a essere coinvolti emotivamente nelle domande di senso e nelle confessioni che i personaggi si lanciano a vicenda. È un gioco freddamente intellettuale attraverso cui il cinema, arte che per definizione fa i conti con i minuti, ci porta a chiederci: abbiamo veramente paura del tempo? Per gran parte della vita lo teniamo sott’occhio. A portata di polso. È la quotidianità. Ignoriamo però il tempo della nostra vita, quello che non ci sembra mai finito. Il limite dell’esistere ci viene incontro proprio quando questo tempo sentiamo di perderlo. Ci prende un panico “cronologico” (vicino alla contemporanea ansia ecologica). La malattia del nostro tempo si chiama FOMO, Fear Of Missing Out, paura di perdere qualcosa di rilevante. Ne L’ordine del tempo questi personaggi, mai persone, si cercano di recuperare le relazioni perdute. Eppure, di fronte a uno scenario apocalittico come quello da cui parte il film (un meteorite sta per arrivare sulla terra estinguendoci tutti) è difficile credere che il pensiero vada solo alle relazioni. Quelle sono da aggiustare per il tempo della vita. A un passo dalla morte si cerca una cosa che il cinema non deve dimenticarsi di poter racchiudere nei suoi fotogrammi: la poesia dell’esistere.
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Sull'autore

Arianna Prevedello e Gabriele Lingiardi