La terra, le radici, l’identità. Un itinerario cinematografico che, contrassegnato dal legame con il territorio (inteso come ricorrente ‘spazio dell’anima’), dall’isolamento forzato e dalla prevaricazione conduce, alzando lo sguardo, all’autocoscienza e alla pacificazione interiore. Fino all’”alzati e cammina verso di me” e al percorso di salvezza contenuti in un film paradigmatico come The Whale.
È intitolato, non a caso, “Tra terra e cielo”, il nuovo numero di Filmcronache: un viaggio in immagini materico e metafisico che, articolato in una triplice scansione saggistica, raggruppa un vasto corpus di titoli recenti, mettendo a fuoco, al loro interno, diverse gradazioni esperienziali e relazionali. Nel primo intervento sul tema, chi scrive, in un’ampia panoramica, ragiona su senso di appartenenza ai propri luoghi ed estromissione dai legittimi confini: da As bestas a Le otto montagne, passando per film come Klondike, Utama – Le terre dimenticate, Terra e polvere, Io vivo altrove! e Il frutto della tarda estate, le declinazioni conflittuali di titoli immersi nella materia, con un aggregato umano prigioniero di un’atavica pulsione alla sopraffazione, lasciano il posto, man mano, a variazioni esistenziali più intime e distese, in cui la dimensione naturalistica e la coltivazione dei campi appaiono come fughe dalle derive del mondo moderno. Simone Agnetti, invece, indagando il rapporto tra l’umano e il divino, in un’ottica di superamento delle dinamiche strettamente terrene, si interroga su quali forme può assumere, nel cinema contemporaneo, la presenza del sacro, rintracciando qualche possibile risposta nell’affascinante Godland – Nella terra di Dio, nella figura Christi di Miracol- Storia di destini incrociati, nel contraddittorio ascolto della Parola ne La cospirazione del Cairo, Women Talking – Il diritto di scegliere e Profeti. Allo stesso modo, nel suo contributo saggistico padre Guido Bertagna analizza in profondità il film di Darren Aronofsky, storia di “trasformazione e trascendenza” che si rapporta al Moby Dick di Melville: Charlie come Ishmael, cinque giorni per riabbracciare il passato e aprire un futuro, sei personaggi incapaci di farsi illuminare dalla verità. E un appartamento-sepolcro dal quale innalzarsi in una dimensione angelica.
A chiudere questo numero di Filmcronache una lunga coda analitica dedicata al Festival di Cannes: un’edizione sospesa tematicamente tra verità e finzione: la riproduzione oggettiva della quotidianità e la sua reinterpretazione soggettiva, con in mezzo tutta l’ambiguità del reale, a cominciare dalla Palma d’oro, Anatomie d’une chute di Justine Triet, e dal Gran premio della giuria, The Zone of interest di Jonathan Glazer. Buona lettura.
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