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UNA VOCE FUORI DAL CORO (Yohan Manca)
Il potere salvifico della musica

Nour ha quattordici anni ed è l’ultimo di quattro fratelli che vivono in una cittadina della Costa azzurra, abituati a fare famiglia tra loro, pur con le rispettive diversità di carattere e di età, da quando hanno perso il padre. I più grandi si arrangiano tra vari lavoretti, più o meno leciti, e, con l’inizio dell’estate, anche Nour viene spinto a contribuire all’economia familiare per curare la madre, malata terminale. Ma un giorno Nour incontra Sarah, un’insegnante di canto che lo coinvolge nel suo corso. Per il ragazzo è l’occasione per scoprire una passione innata, che gli viene dai genitori, e per aprirsi a un mondo diverso da quello in cui è cresciuto…

Le banlieues e Pavarotti, il riscatto sociale e La Traviata. Difficile pensare di armonizzare, in un film, temi, ambienti e personalità tanto dissimili. Eppure l’opera prima di Yohan Manca, pur nelle sue linee narrative convenzionali, riesce con piglio e sensibilità a fare sintesi tra mondi così lontani fra loro, non disperdendo né le problematiche legate al meticciato, sciogliendole in una multiculturalità dai riflessi salvifici, né quelle legate al coming of age, portandole su un piano di convincente confronto con la realtà. Se il titolo italiano del film punta l’attenzione sul fronte musicale, sulla passione per l’opera e su un vero talento per il canto, lasciando comunque percepire il rilievo del sottotesto familiare ed esistenziale, l’originale Mes frères et moi colloca invece il senso profondo del lungometraggio di Manca in una fratellanza aspra ma sanguigna, calata nei quartieri popolari del Sud della Francia: riassunti in un profilo caratteriale talvolta appena delineato, ma comunque assai comunicativo, Abel, Mo, Hédi e lo stesso Nour mostrano, al contempo, certezze robuste e fragili vulnerabilità, virile indipendenza e bisogno intimo di protezione.

Liberamente adattato da una pièce teatrale di Hédi Tillette de Clermont-Tonnerre, portata in scena e recitata dal regista a soli 17 anni, Una voce fuori dal coro, che dell’ambientazione mediterranea restituisce sullo schermo suggestivi cromatismi, è dunque un film capace di contenere e rilanciare l’importanza dei legami familiari e il valore rigenerante della musica, entrambi presupposti per l’affermazione di sé e l’auspicio di un futuro sereno. Come i recenti e affini Gagarine – Proteggi ciò che ami e La mélodie, anche il film di Manca osserva le periferie urbane con uno sguardo meno stereotipato, ostile e rabbioso di tanti altri titoli sul tema, facendo della potenza emotiva del bel canto il collante di un recupero etico e civile che non smarrisce, in ogni caso, le proprie radici. È qui che si situa la confluenza armonica del film, tra l’ascolto di “una furtiva lagrima” da L’elisir d’amore di Donizetti e il ritrovarsi dei quattro fratelli, in casa, a mangiare un piatto di pasta: ogni conflitto, nell’elevarsi dello spirito, estasiato da ugole d’oro, e nella convivialità della tavola, nutrita sia da litigi violenti che da riconcilianti sorrisi, si risolve e dissolve. Anche grazie ad una tenerezza materna che, incarnata nella volitiva Sarah, s’insinua nel piccolo Nour. Accompagnandolo per mano in un nuovo percorso di vita.

UNA VOCE FUORI DAL CORO
Regia: Yohan Manca
Interpreti: Maël Rouin Berrandou, Judith Chemla, Dali Benssalah, Sofian Khammes, Moncef Farfar
Nazionalità: Francia, 2021
Durata: 108’

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.