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IL PRINCIPE DI ROMA (Edoardo Falcone)
Tra Dickens e Luigi Magni

Roma, 1829. Bartolomeo è un uomo ricco e avido che brama un titolo nobiliare più di ogni cosa. Nel tentativo di recuperare il denaro necessario a stringere un accordo segreto con il Principe Accoramboni per ottenere in moglie sua figlia, si troverà nel bel mezzo di un sorprendente viaggio a cavallo tra passato, presente e futuro. Affiancato da compagni d’eccezione dovrà fare i conti con sé stesso e conquistare nuove consapevolezze.

Presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma 2022, il quarto lungometraggio diretto da Edoardo Falcone è una libera rilettura di A Christmas Carol il celebre romanzo breve pubblicato da Charles Dickens nel 1843, che tuttavia sembra guardare alla lezione operata dal cinema di Luigi Magni. Proprio come in molte opere dell’autore de Nell’anno del Signore e di In nome del Papa Re infatti, ne Il principe di Roma vi si ritrova il medesimo contesto, ovvero la Roma ottocentesca dello Stato Pontificio, il medesimo genere di riferimento (la commedia), nonché il medesimo intento satirico e la cornice morale che ne hanno contraddistinto l’inconfondibile marchio autoriale. Un vero e proprio brand definito da quello spirito tipicamente romano reso immortale dalla poesia di Giuseppe Gioacchino Belli, il cui spirito sembra qui aleggiare con insistenza.

Rilevante è la collocazione temporale della vicenda, che si svolge nel 1829, un anno non tra i più ricordati della Storia, benché assai importante per quella papale. Essa non fa da semplice sfondo al percorso esistenziale e drammaturgico del protagonista Bartolomeo — personaggio ben cucito sulla vis interpretativa di Marco Giallini, che infatti lo nobilita con una spassosa interpretazione —, ma lo innerva di una serie di riferimenti che, se da una parte adottano un modello narrativo ben collaudato (il viaggio del protagonista nel Tempo), dall’altra ben restituiscono sia lo “spirito del tempo”, sia l’immutabilità della condizione umana. Aspetti che Falcone dimostra di sapere ben organizzare ben attivando il collegamento tra il presente del film — ovvero l’anno contraddistinto dall’avvicendamento tra il papato di Leone XII, contraddistinto dalla repressione dei carbonari, e quello (breve) di Pio VIII, contraddistinto dalle aperture —, sia rendendo efficaci i cortocircuiti temporali che caratterizzano la narrazione, e che permettono al protagonista di incontrare personaggi vissuti prima (Beatrice Cenci, Giordano Bruno, Papa Borgia) o di vedere il proprio destino nei furori repubblicani della Roma del 1848. Scelte che consentono a Falcone di ben affrescare uno sfondo storico nel quale le istanze dei singoli si rispecchiano in quelle collettive. Così da dare al borghese Bartolomeo, all’aristocratico principe Accoramboni (Sergio Rubini), o al rivoluzionario Eugenio (Andrea Sartoretti),  una valenza simbolica che li fissa in maschere universali, quasi a sottolineare che nella  “commedia dell’arte” si rispecchia quella prodotta “dalla Storia”. Aspetti che, insieme alla buona amalgama di un cast doviziosamente assortito,  fanno de Il principe di Roma una gradevole commedia in grado di elevarsi rispetto allo standard sempre più dozzinale della commedia nostrana. 

IL PRINCIPE DI ROMA
Regia Edoardo Falcone
Con Marco Giallini, Giulia Bevilacqua, Sergio Rubini ,Filippo Timi, Giuseppe Battiston, Denise Tantucci, Antonio Bannò
Italia 2022
Durata: 92’

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Sull'autore

Francesco Crispino

Francesco Crispino è docente di cinema, film-maker e scrittore. Tra le sue opere i documentari Linee d'ombra (2007) e Quadri espansi (2013), il saggio Alle origini di Gomorra (2010) e il romanzo La peggio gioventù (2016).