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YURT/DORMITORIO (Nehir Tuna)
Tensioni tra laici e religiosi nella Turchia contemporanea

Un certo pensiero educativo religioso vorrebbe poter forgiare i futuri credenti dando loro degli habitat consoni alla fede. Questa è una convinzione molto radicata nelle tre religioni monoteistiche: scuole, collegi, convitti, ostelli vorrebbero essere i luoghi di formazione del credente. Questo meccanismo di conversione non è automatico, anzi, spesso crea effetti diversi, di rifiuto e allontanamento dalla fede.

Il film Yurt, opera prima di Nehir Tuna, propone questo scenario nel mondo laicizzato turco. Evitando di parlare del tempo attuale, in cui la Turchia fatica ad essere lo stato laico voluto da Ataturk, il regista disegna un affresco del rapporto tra stato e religione sul finire degli anni Novanta. Il luogo scelto è proprio quello della scuola, mettendo a confronto un istituto privato superiore e un dormitorio religioso, lo Yurt.

Nel 1997 le tensioni tra turchi religiosi e laici raggiungono momenti critici. Il quattordicenne Ahmet studia in una prestigiosa scuola privata laica in città. Viene mandato da suo padre, recentemente entrato in una confraternita islamista, a risiedere in un dormitorio religioso, per imparare i valori musulmani. Ahmet, proveniente da una famiglia benestante e laica, trova difficoltà ad integrarsi con i ragazzi turbolenti dello Yurt, di estrazione popolare. La recente conversione del padre pesa nelle relazioni con la madre e guasta i rapporti in famiglia. Il protagonista, prigioniero del dormitorio, per sopravvivere nel mondo esterno tiene nascosta ai compagni di scuola la sua residenza, fingendo di abitare altrove. Nel convitto lega con Hakan, un ragazzino smaliziato e indigente che sa come muoversi nel sistema dello yurt, e il loro rapporto, a tratti conflittuale, si trasforma in una forte amicizia. Quando a scuola una ragazza di buona famiglia corrisponde le sue attenzioni, le due realtà non possono più convivere. Lo yurt è soggetto a perquisizioni anti-arabe, e laici e religiosi si scontrano di fronte al convitto generando una situazione difficile da gestire.

Il regista, ispirandosi al proprio vissuto personale, vorrebbe trasmettere allo spettatore l’isolamento, la noia e la pressione che Ahmet deve affrontare nel tentativo di soddisfare le aspettative della sua famiglia e il suo bisogno di appartenenza, questo prima e oltre la questione della laicità dello stato.

Il film è un’espansione narrativa di Ayakkabi, cortometraggio diretto dal regista turco nel 2018, dove viene narrato un episodio legato alla dura disciplina islamica, in relazione alla punizione esemplare da comminare per un paio di scarpe scomparse. Tuna lo riprende interamente e lo inserisce come digressione all’interno di un racconto di formazione molto più complesso. La scelta del bianco e nero dona lirismo alla prima parte della pellicola, rimarcando quello spazio del ricordo che è la vita nel dormitorio, quando poi si aprono orizzonti diversi, il film diventa a colori e l’effetto ottenuto sui corpi dei protagonisti e sui luoghi narrati è dirompente.

 

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Sull'autore

Simone Agnetti

Simone E. Agnetti, Brescia 1979, è Laureato con una tesi sul Cinema di Famiglia all’Università Cattolica di Brescia, è animatore culturale e organizzatore di eventi, collabora con ANCCI e ACEC, promuove iniziative artistiche, storiche, culturali e cinematografiche.